
Benzodiazepine e deterioramento cognitivo, c’è un legame e uno studio spiega qual è
di Valentina Di Paola
Le benzodiazepine sono una classe di farmaci che vanta proprietà ansiolitiche, sedativo-ipnotiche, anticonvulsivanti, miorilassanti e anestetiche, che vengono spesso somministrate per il trattamento di ansia e disturbi del sonno e convulsioni. Una nuova ricerca, pubblicata sulla rivista Nature Neuroscience e condotta dagli scienziati del Centro di neuropatologia presso l’Università Ludwig Maximilian di Monaco, suggerisce che l’uso prolungato e a lungo termine di queste sostanze potrebbe aumentare il rischio di sviluppare problemi di salute associati al deterioramento cognitivo. Le benzodiazepine più comuni sono diazepam, commercializzato come Valium e triazolam, noto comunemente come Halcion. Queste alternative vengono considerate molto efficaci, ma potrebbero non essere sicure come trattamento a lungo termine.
L’uso prolungato e a lungo termine delle benzodiazepine compromette le sinapsi
L’associazione tra assunzione prolungata e reiterata di benzodiazepine e sviluppo di varie forme di dipendenza è nota da tempo, specialmente nelle persone anziane, ma finora il meccanismo alla base di questo effetto era poco compreso. Il team, guidato da Mario M. Dorostkar, ha dimostrato che il principio attivo delle benzodiazepine provoca una perdita delle connessioni neurali nel cervello. I ricercatori hanno utilizzato un modello murino per valutare le conseguenze derivanti dalla somministrazione giornaliera di farmaci. Il team ha confermato che il diazepam può indurre sonnolenza. Una volta interrotto il ciclo di trattamento di qualche giorno, gli studiosi hanno osservato degli effetti prolungati, ma reversibili, sugli organismi dei topolini. Stando a quanto emerge dall’indagine, però, le benzodizepine si legano a una proteina specifica, nota come proteina traslocatrice 18 kDa (TSPO), presente sulla superficie degli organelli delle cellule immunitarie responsabili delle risposte precoci alle minacce. Quando queste cellule vengono attivate, spiegano gli autori, può verificarsi il deterioramento delle sinapsi, il che può causare problemi a livello cognitivo.
Esistono alternative alle benzodiazepine
“Il nostro lavoro – commenta Dorostkar – potrebbe avere delle implicazioni importanti per il modo in cui vengono trattati i disturbi del sonno e l’ansia. Abbiamo confermato che l’uso a lungo termine delle benzodiazepine dovrebbe essere evitato, specialmente negli anziani”. Per ridurre l’utilizzo di questa classe di farmaci, i ricercatori precisano che esistono delle alternative più sicure. “Si possono preferire delle sostanze con diversi meccanismi d’azione e approcci comportamentali, a seconda della condizione sottostante – commenta il ricercatore – è consigliabile parlare con il proprio medico per valutare le migliori opzioni di trattamento”. “Ad esempio – osserva Annie Miller, psicoterapeuta e operatrice sociale – si può praticare la terapia cognitivo comportamentale per l’insonnia, un approccio non farmacologico che contribuisce ad alterare i modelli di pensiero e i comportamenti relativi al sonno. Si tratta di una terapia a breve termine che necessita di circa sei-otto sessioni per mostrare effetti rilevabili, ma può essere efficace fino all’80 per cento nel trattamento dei sintomi dell’insonnia. Molti medici ora tendono a consigliare un metodo diverso dalle opzioni farmacologiche prima di prescrivere benzodiazepine. È molto importante che le persone siano consapevoli delle diverse alternative disponibili”.
LINK A STUDIO: https://www.nature.com/articles/s41593-022-01013-9