
Come preparare l’Italia a nuove pandemie
Intervista a Giulio Fornero, da settembre 2020 è Direttore Sanitario di Camminare Insieme. E’ stato Medico di Direzione Sanitaria, Direttore Sanitario e Direttore Generale di Ospedali e ASL di Torino. Laureato in Medicina e Chirurgia, specializzato in Igiene e Medicina Preventiva, ha conseguito un diploma di perfezionamento triennale in Statistica e Programmazione Sanitaria.
Per anni ci siamo cullati nell’illusione di avere uno dei sistemi sanitari migliori del mondo, poi la pandemia ci ha messo di fronte alla realtà: assistenza domiciliare insufficiente, carenza di medici specialisti e di medicina generale e di infermieri, regionalizzazione, effetto dei tagli e delle politiche di austerity che hanno mostrato i loro limiti. La COVID-19 ha fatto capire che la sanità, così come strutturata al momento, non è in grado di rispondere ai bisogni delle persone, non è stata in grado di raggiungerle e supportarle. Se vogliamo mettere le lenti del sociologo la pandemia ha rappresentato un fatto sociale ‘totale’ a cui nessuno, in nessuna parte del mondo ha potuto ignorare. Ha determinato quella che Edgar Morin ha chiamato una ‘policrisi’ per la quale ha invocato un nuovo umanesimo planetario.
Ora che l’emergenza è passata è doveroso fermarsi ad una analisi su dove si è sbagliato, perché ma soprattutto come arrivare preparati a nuove pandemie che gli esperti hanno già paventato.
Cosa abbiamo imparato? Che la salute è un bene fondamentale, frase che ha assunto una dimensione concreta ed è uscita dallo slogan, aggiungerei che la salute è un diritto essenziale, al pari della libertà, ma che esistono ancora profonde disuguaglianze nell’accesso e nella fruizione. L’esistenza di disuguaglianze profonde è il vulnus di un discorso sul fatto che a tutti siano offerte le stesse possibilità non sono di essere curati, ma di non ammalarsi. Ma povertà, esclusione sociale, solitudine, disoccupazione sono gli elementi da curare perché determinano uno stress esistenziale che gli esperti hanno definito ‘carico allostatico’. Le persone perennemente stressate da condizioni di vita precarie si ammalano di più e muoiono prima.
Abbiamo quindi chiesto al Dottor Giulio Fornero, Medico di Direzione Sanitaria, Direttore Sanitario e Direttore Generale di Ospedali e ASL di Torino di fare una analisi per noi.
Ecco quello che ci ha raccontato.
“Per fare valutazioni attendibili bisogna guardare ai dati: l’OCSE ci offre dei risultati relativi ai paesi sviluppati. In uno studio durato 20 anni (dal 1995 al 2015) si è visto che una buona sanità pubblica è collegata ad una migliore salute dei cittadini, mentre la correlazione funziona in senso opposto quando il cittadino paga la Sanità dalle proprie tasche, “out of pocket”. Il secondo determinante di salute è l’istruzione, favorendo stili di vita più salutari, migliore conoscenza sui servizi sanitari disponibili e migliore capacità di autogestione dei trattamenti medici, particolarmente nelle malattie croniche. Il terzo è il lavoro e la situazione economica: la disoccupazione peggiora la salute mentale e fisica, ma le specifiche condizioni di lavoro sono anche importanti.
Questo per ciò che attiene una visione del sistema sociale… ma poi dobbiamo pensare all’organizzazione e in questo senso una novità è rappresentata dalle nuove Case della Comunità che centralizzeranno servizi, prestazioni e informazioni.
“Se organizzate adeguatamente saranno un presidio dove essere avviati ai servizi corretti e potranno avere un effetto positivo sulle liste di attesa e sugli accessi impropri al Pronto Soccorso che dalla pandemia hanno subito grandi pressioni. La crisi dei Dipartimenti di Emergenza è stata di recente analizzata da una ricerca dell’Università Bocconi che ha analizzato la letteratura internazionale e individuato le maggiori difficoltà nei percorsi interni. Quando un soggetto arriva in PS può essere trattato e rimandato a casa oppure aver bisogno di ricovero. Ma la maggior parte dei fenomeni di sovraffollamento è dovuta a pazienti con sono codici verdi o azzurri, spesso anziani polipatologici cronici non autosufficienti che potrebbero ricevere una efficace assistenza domiciliare, oppure con cure diurne o residenziali ma che al momento sono a carico delle famiglie che in alcuni casi non hanno strumenti tecnici e finanziari per prendersene cura”.
Un altro capitolo sono alcuni gruppi sociali ‘marginali’ che spesso non trovano una assistenza adeguata o quando la trovano sono oggetto di stigmatizzazione… il che peggiora la loro salute…
“Noi a Torino lavoriamo gratuitamente in Camminare Insieme, una struttura di 140 medici volontari che assiste e cura persone migranti e senza fissa dimora. Curiamo le persone che possono essere trattate in ambulatorio e nel caso sia necessario facciamo da tramite con le strutture di ricovero. Vacciniamo e facciamo prevenzione su soggetti spesso invisibili alla sanità ‘ufficiale’. Ecco, a queste esigenze provvediamo con questo progetto. Proprio all’inizio degli anni Novanta cominciano a manifestarsi a Torino, in maniera sempre più evidente, i primi problemi legati al fenomeno dell’immigrazione: la tutela della salute degli immigrati, regolari e non, viene individuata dall’Associazione come la priorità alla quale fare fronte e dedicare energie e risorse, umane e materiali.
L’Associazione, fin dall’inizio, ha potuto contare sull’aiuto concreto, oltre che di molti volontari e simpatizzanti, dell’Opera Barolo, che allora mise a disposizione i locali dell’Ospedaletto di Santa Filomena (fatto erigere nel 1845 dalla marchesa Giulia di Barolo per la cura dei più poveri), e dove ancora oggi l’Associazione ha sede, e di Specchio dei Tempi il cui generoso finanziamento consentì di avviare la vera e propria attività ambulatoriale. Dal 1998 la Compagnia di San Paolo è il principale sostenitore dell’attività dell’Associazione ed il suo costante e cospicuo finanziamento ha permesso di prestare assistenza sanitaria a più di 45000 pazienti.
El Kamel, contadino proveniente dal Marocco, padre di sette figli, fu il primo paziente dell’Associazione. Il suo sguardo quando si ritrovò circondato dalle premure di alcuni volontari in camice bianco è qualcosa che non si potrà mai dimenticare.
Lo sguardo di El Kamel è l’inizio della Camminare Insieme”.
(per info: camminare-insieme.it)