Contro l’infezione da Clostridium arriva il ‘trapianto di microbiota’

Ida Macchi

Trapianto fecale promosso a pieni voti per la cura delle infezioni da Clostridium difficile: l’avvallo arriva dalla Cochrane, network internazionale non profit che valuta le evidenze sulle varie procedure mediche, che sottolinea addirittura che la sua efficacia è superiore a quella degli antibiotici, soprattutto quando le infezioni sono ricorrenti. “Un risultato non da poco, perché il Clostridium difficile è un batterio che fa normalmente parte della flora batterica intestinale ma che, soprattutto complici ripetuti cicli di cure antibiotiche, può svilupparsi in modo incontrollato, dando il via a disbiosi elevatissime, classicamente composte da comunità microbiche praticamente monobatteriche”, spiega la professoressa Lorenza Putignaniresponsabile dell’unità di Microbiomica dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma.

Leader indiscusso 

In pratica, il germe diventa il “leader” indiscusso della flora batterica, togliendole quell’equilibrio e quella varietà di microrganismi che è sinonimo di salute. Si trasforma così in un vero e proprio nemico: produce tossine, provocando diarree profuse, ma anche megacolon tossico, perforazione o emorragia intestinale e infezione generalizzata.

“Peraltro, quelle da Clostridium difficile possono essere tra le infezioni ospedaliere ricorrenti più frequenti e ne sono vittime soprattutto gli anziani” aggiunge la nostra esperta. “Ultimamente, però, non ne sono immuni neppure i giovani e gli effetti sono tutt’altro che sottovalutabili: l’infezione tende a recidivare e, visto che ormai esistono ceppi del batterio più aggressivi e resistenti agli antibiotici, i farmaci che dovrebbero annientarli come la vancomicina, si sono ormai trasformati in armi spuntate”.

Infatti, negli ultimi anni questa infezione ha provocato in Europa ben 8000 decessi. Il trapianto fecale è quindi una grande opportunità, tanto che anche in Italia ne è stato approvato l’utilizzo nella pratica clinica dei pazienti adulti.

Trapianto d’organo

Più che di trapianto fecale, però, si deve parlare di trasferimento del microbiota intestinale (fecal microbiota transplantation, FMT) contenuto nelle feci di un potenziale donatore, nell’intestino di un ricevente. “L’FMT è a tutti gli effetti la sostituzione di un organo malato, con uno sano”, spiega la professoressa Putignani. “Il microbiota scelto per il trapianto è “ variegato”, ricco soprattutto di batteri protettivi come gli Actinobacteria ed i Firmicutes e di quelle molecole da essi prodotte: possiedono una spiccata azione antinfiammatoria e di modulazione del sistema immunitario e sono in grado di produrre acidi grassi a catena corta. Questi batteri mantengono in salute le cellule intestinali ed entrano nella regolazione delle mucine, glicoproteine protettive della mucosa e della parete del colon. Insomma, il nuovo microbiota diventa una sorta di probiotico all’ennesima potenza, con azione anti inflammaging, immunologica e di mantenimento della struttura intestinale. Grazie a queste proprietà, ricrea un ecosistema intestinale sano nel ricevente,  spiazzando il sopravvento del  temibile Clostridium difficile con un indice di successo che può arrivare al 90%”.

Attenta preparazione 

Da vero e proprio farmaco vivo, il microbiota da trapiantare viene preparato ad arte. “Il primo step è la selezione del potenziale donatore delle feci che deve superare tutta una serie di esami di laboratorio che attestano il suo perfetto stato di salute e che scartano la presenza di eventuali patogeni trasmissibili con le feci”, sottolinea la nostra esperta. “Il donatore deve inoltre rispondere ad un questionario che valuta se il suo stile di vita è privo di comportamenti a rischio, compresi recenti viaggi all’estero dove avrebbe potuto contrarre delle parassitosi. Se supera la selezione, viene invitato a donare le sue feci che vengono valutate, spesso anche con una mappa del microbiota, per identificarne la composizione. Se Doc, subito dopo vengono filtrate, emulsionate e nel giro di 6 ore trasfuse. In alterativa possono essere congelate e, per circa due anni, utilizzabili: in compresse in cui il microbiota è sotto forma di liofilizzato, o come emulsione tramite clistere, colonscopia, o con sondini che arrivano direttamente allo stomaco e all’intestino”. In Italia non esistono banche delle feci, mentre sono già attive in molti altri Paesi: negli Stati Uniti, nei paesi scandinavi, in Olanda e in Australia. Nel nostro Paese esistono però centri di riferimento per il loro trapianto nell’adultoil Sant’Orsola di Bologna, il Policlinico Gemelli di Roma, il Careggi di Firenze e l’Azienda Ospedaliera Universitaria di Pisa, a cui si può rivolgere anche un potenziale donatore per regalare le sue feci. Prerequisiti necessari: avere un’età tra i 18 e i 45 anni e non avere assunto antibiotici nei 6 mesi precedenti. Il primo centro ad aver utilizzato il trapianto sui piccoli, invece, è l’Ospedale Bambino Gesù di Roma e si spera una sua vicina registrazione come centro di riferimento per il trapianto pediatrico.

Nuove frontiere 

Grazie alla sua efficacia sulle infezioni da Clostridium difficile, il trapianto fecale viene attualmente utilizzato sperimentalmente su altre patologie, prime tra tutte le malattie infiammatorie croniche intestinali (colite ulcerosa e morbo di Crohn) sia dell’adulto che del bambino. I risultati degli studi sono attualmente contraddittori, tanto che anche la Cochrane afferma che non ci sono ancora evidenze definitive della sua efficacia. “Nonostante ciò, sono in atto nuovi trial che stanno valutando gli effetti del trapianto se utilizzato in sinergia con trattamenti nutrizionali controllati e quindi con una modificazione su misura della dieta”, sottolinea la professoressa Putignani. “Altrettanto forte la spinta a valutare l’effetto della sostituzione del microbiota tramite trapianto nel trattamento delle infezioni indotte da germi multi resistenti agli antibiotici, una minaccia per la salute in generale, ma altamente temibili soprattutto dopo i trapianti d’organo solido (cuore, fegato, rene, per esempio) o di cellule staminali emopoietiche, visto che le terapie antirigetto abbassano le naturali reazioni del sistema immunitario. Il 70% del sistema immunologico, però, risiede proprio nell’intestino e avere un microbiota “nuovo“ e attivo potrebbe essere un’arma in più per controbattere le infezioni che riducono la sopravvivenza dell’organo trapiantato”. Anche per questo, alcuni esperti della Harvard Medical School and Brigham and Women’s Hospital suggeriscono di raccogliere e congelare le proprie feci da giovani per poterle utilizzare da adulti come strumento terapeutico: in caso di malattie infiammatorie intestinali a insorgenza successiva, o come strumento in più per certe neoplasie. “Molti studi hanno valutato che in caso di tumore al polmone o di melanoma, un microbiota sano produce alcune molecole in grado di “migliorare” la risposta immunitaria. Può perciò potenziare l’immunoterapia utilizzata per sconfiggerli”, conclude la nostra esperta.

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