
Decessi da alcol
di Ida Macchi
Complice il Covid 19 e il lockdown, per il secondo anno di seguito nel 2021 negli Stati Uniti si è registrata un’impennata di decessi legati all’uso di alcolici: ben il 22% in più rispetto alle proiezioni pre pandemia. Lo denuncia una recente ricerca del Cedars Sinai Medical Center di Los Angeles ,i cui risultati sono stati pubblicati su Jama network, che sottolinea che gli aumenti più marcati hanno interessato soprattutto giovani tra i 22 e i 44 anni. Le colpe: l’assistenza sanitaria per le persone con disturbo da consumo di alcol praticamente distrutta dalle misure restrittive anti Covid 19.
IN ITALIA
Situazione analoga anche in Italia? “Nel nostro Paese il numero di morti legato direttamente al consumo di alcol, e quindi dovute a epatopatie alcoliche tra le quali prevalente è la cirrosi alcolica, a effetti tossici dell’alcol, intossicazione alcolica e/o coma etilico, cardiomiopatia alcolica, pancreatite cronica indotta da alcol, sindromi psicotiche indotte dall’alcol, gastrite alcolica, fluttua da anni intorno ai 1200-1500 casi l’anno”, risponde il professor Emanuele Scafato, vicepresidente dell’ European Federation of Addictions (EUFAS). “Quella che include anche le patologie parzialmente attribuibili è però ben più elevata: pari a oltre 17.000 morti l’anno , 47 al giorno, con cancro, cirrosi epatica, incidentalità stradale causata che rappresentano poco meno del 90% di tutti i decessi causati dall’uso di alcol. Non solo: per sette tipi di cancro, tra cui quello del seno per la donna e del colon per l’uomo, è dimostrato che non esistono quantità sicure, o soglie sicure di consumo, tanto che il Codice Europeo OMS contro il Cancro ribadisce che per la prevenzione dei tumori non bere è la scelta migliore”.
PRONTO SOCCORSI INTASATI
In aumento, invece, sia durante che dopo il lockdown, il numero di ricorsi ai pronti soccorsi per intossicazione alcolica soprattutto da parte di under 18. “Nel 2020” spiega Scafato “si sono registrati ben 29362 accessi di cui l’11%, pari a 3103, effettuati da minori. Nello stesso anno, però, nonostante le chiusure anticipate dei bar e le regole più restrittive, ma per lo più disapplicate nei luoghi della movida, i giovani che si sono ubriacati sono stati molti di più: ben 120 mila”. In aumento, sempre con la complicità del Covid, anche il numero di ricadute tra chi aveva problemi con l’alcol e tentava di liberasene perché, come è successo negli Stati Uniti, si sono ritrovati letteralmente isolati e senza più alcun sostegno: “i servizi di alcologia e i dipartimenti per le dipendenze e salute mentale, già in sofferenza prima del Covid, sono stati chiusi durante il lockdown e solo successivamente resi disponibili in condizioni di difficile o impossibile accesso, a causa delle restrizioni di contenimento della pandemia nelle strutture, quasi interamente dedicate a pazienti Covid, anche nelle urgenze”, spiega il professor Scafato. “Il risultato è stato tragico per molte famiglie che, per la prima volta, si sono confrontate con il problema alcol sino ad allora spesso ignorato di un familiare, di un congiunto, o un figlio e che hanno subito la marginalizzazione, già insita nello stigma di una condizione che non ha potuto avvalersi di prime diagnosi e di visite programmate, soffrendo un black out del sostegno psicologico e del counseling motivazionale in presenza, usualmente offerto dalle strutture pubbliche, fondamentale sia per il percorso di disassuefazione che per il mantenimento della sobrietà. Anche associazioni di auto aiuto come gli alcolisti anonimi e i club territoriali hanno dovuto forzatamente rinunciare alle riunioni settimanali salvo riorganizzarsi, appena possibile, come le strutture sanitarie, attraverso soluzioni digitali alternative, come sedute su whatsapp, zoom o su piattaforme on line”.
UN VUOTO CHE HA PESATO
“Questo vuoto, associato a problemi di crisi economica, disoccupazione forzata, isolamento e separazione dai parenti residenti in altre regioni, ha pesato soprattutto sulla salute mentale e ha determinato un aumento di depressioni, ansia, insonnia che hanno trovato la loro soluzione nei facili, ma falsi effetti euforizzanti e ansiolitici dell’alcol, prescelti soprattutto dai consumatori già a rischio che, è stato dimostrato da indagini europee, hanno aumentato in lockdown sia il volume che la frequenza del consumo già elevato, incrementando ulteriormente il rischio di disturbi da uso di alcol, proprio perché privati di identificazione precoce, d’intervento o di una qualunque forma di controllo da parte delle strutture del SSN” aggiunge il professor Scafato. Insomma, un cane che si è morso la coda. “Molti hanno potuto verificare o prendere consapevolezza di avere una dipendenza dall’alcol proprio nel periodo del Covid, complici vere e proprie crisi di astinenza che hanno fatto da carburante alla perdite della capacità di autocontrollo delle reazioni che in alcuni casi sono sfociate in maltrattamenti al coniuge o ai figli”, aggiunge l’esperto. “Il risultato finale è stato che durante la pandemia, nel nostro Paese, oltre il 67 % di chi era già a rischio ha peggiorato la sua condizione per l’aumento del consumo di alcolici, prevalentemente vino, ma anche il 37 % circa dei bevitori cosiddetti “moderati” hanno incrementato quantità e frequenza del consumo di alcolici confluendo verso il rischio di rimanere imbrigliati nella trappola dell’alcoldipendenza”.
UN CAMBIO d’ABITUDINI RISCHIOSO
Colpa di un cambio di abitudini che ha remato a favore dei consumi domestici, come vendite di alcolici attraverso l’esplosione dell’e-commerce e delle vendite online, favorite da nuove app e da “riservate” consegne a domicilio. Non solo: “Un recente report dell’OMS” rileva Scafato “ha dimostrato che durante la pandemia le industrie produttrici di alcolici hanno incrementato le promozioni e il marketing di bevande alcoliche sui social e su internet per attirare al consumo soprattutto donne e giovani”. Risultato: gli acquisti di alcolici online nel 2020 hanno subito una impennata del 250% in più e tutti gli indicatori del consumo a rischio hanno confermato trend sfavorevoli per la salute, proprio per l’incrementato rischio connesso all’uso di alcol, vino in particolare. “Nel 2020, I’Istituto Superiore di Sanità ha valutato che c’è stato un incremento dei consumatori a rischio (pari a 8 milioni e 600 mila ), dei binge drinker che cercano lo sballo a suon d’alcolici (4 milioni) e dei consumatori che hanno già un danno d’organo (come il fegato) passati da 600 mila a 870 mila: sono quelli che avevano bisogno di un trattamento e di un intervento di sostegno da parte di un servizio territoriale per le dipendenze o di un centro di alcologia, ma il 92,2 % di loro non è stato intercettato dal Servizio Sanitario Nazionale e ancora oggi richiede un trattamento che nessuno ha mai offerto”, sottolinea il professor Scafato.
OMS IN PRIMA LINEA
Proprio per questo, a febbraio, il Parlamento Europeo ha adottato una risoluzione sulla lotta al cancro in cui il contrasto al rischio legato all’uso dell’alcol è stato ribadito come azione comunitaria. A maggio, invece, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha approvato un piano di azione e di strategia di prevenzione sull’alcol, da mettere in campo tra il 2022 e il 2030, nel mondo e quindi anche in Europa e in Italia. Tra le misure previste: “identificazione precoce del rischio causato dall’alcol, grazie ad uno screening da parte del medico di base che nello stesso tempo può offrire un colloquio motivazionale della durata di 10 minuti, ma in grado di ricondurre chi supera le linee guida nazionali (0-1-2 , ovvero zero alcol per i minori di 18 anni, 1 bicchiere/unità per le donne e gli ultra65enni, 2 per gli uomini) verso consumi a minor rischio, o verso la migliore scelta per la salute: l’astensione dalle bevande alcoliche” spiega il professor Scafato.
NON ESISTE IL BERE RESPONSABILE
“Non bere è sempre conveniente per la salute, l’alcol è l’unico fattore di rischio che anche con una errata interpretazione del semplice consumo di un bicchiere in più può provocare un evento “fatale” come un incidente automobilistico, o il rischio di cancro, come per la donna: il secondo bicchiere significa rischiare il 27 % in più un cancro del seno. L’intossicazione alcolica e il coma epatico non sono un caso ed è importante, soprattutto per i giovani, incrementare il livello d’informazione valida, scientifica , di contrasto alle fake news che girano sui social e tramite la stessa pubblicità o, come rileva l’OMS, tramite l’inganno subliminale del posizionamento del bere nelle fiction, normalizzandolo, o della sponsorizzazione delle bevande alcoliche durante eventi sportivi o musicali. Ma più importante è metter in guardia sul ”bere responsabile”, privo di qualunque efficacia e, anzi, ambiguo e abusante dell’incapacità del minore che maturerà il livello di comprensione critica e di razionalità solo intorno ai 25 anni, con la maturazione della corteccia prefrontale cerebrale che lo renderà “sapiens”, ma solo se non avrà usato alcolici nella “finestra” di massima vulnerabilità del cervello all’alcol che va dai 12 ai 21/25 anni di età. C’è da recuperare il ruolo di adulti competenti, soprattutto nelle istituzioni e nelle sedi decisionali, anche attraverso l’incremento della “health literacy”, l’alfabetizzazione sanitaria, l’educazione alla salute che l’OMS chiede di portare avanti anche attraverso piani di prevenzione da aggiornare nell’ottica post-Covid e attraverso misure o regolamentazioni che limitino la disponibilità degli alcolici: politiche più rigorose di controllo della pubblicità e della comunicazione commerciale degli alcolici, una politica dei prezzi e di limitazione delle modalità di promozione di quantità sicuramente intossicanti di alcolici, come avviene per le happy hour o gli open bar, che è noto e verificato contribuiscono a rendere conveniente l’acquisto, ma anche sicura la maggior esposizione al rischio e ai danni causati dall’alcol”.