È nato in Italia INFOTRANS: il primo portale in Europa per la salute delle persone transgender

di Anna Benedetto

Da ieri va all’Italia un primato europeo per la salute delle persone transgender: Infotrans è il primo portale istituzionale europeo dedicato al benessere e alla salute delle persone transessuali.

È stato presentato ieri, 7 giugno, all’Istituto Superiore di Sanità, nel corso del convegnoStato dell’arte e prospettive future nella promozione del benessere e della salute delle persone transgender” organizzato con l’Ufficio Nazionale Anti Discriminazioni Razziali (UNAR) – Presidenza del Consiglio dei Ministri.

 

Durante la giornata sono stati illustrati alcuni risultati dello Studio sullo stato di salute della popolazione transgender adulta in Italia” condotto dall’ISS in collaborazione con centri clinici distribuiti su tutto il territorio nazionale ed associazioni di transgender.

Pochi screening oncologici, ritardi di diagnosi per il 30% che non si reca dal medico per paura di essere discriminato, un tasso di depressione dieci volte più alto rispetto alla popolazione generale, stili di vita poco salutari e un gap formativo da parte degli operatori sanitari che urge di essere colmato. Emerge un’importante disuguaglianza nel sistema sanitario nazionale a livello regionale: fanalino di coda d’Italia il Molise e la Basilicata che non hanno nemmeno un centro medico dedicato alla salute delle persone transessuali. Sono questi i principali dati preliminari emersi da questo studio unico nel suo genere.

 

 Nothing for us without us

Il convegno si apre con l’intervento in collegamento da Strasburgo di Eleni Tsetsekou, Head of Sexual Orientation and Gender Identity Unit del Consiglio d’Europa, che conferma la favorevole accoglienza del portale italiano Infotrans nelle sedi europee come buona pratica a cui ispirarsi.

Tsetsekou passa ad illustrare il focus delle politiche europee per la salute delle persone transgender: “occorre evitare misure irragionevoli, ovvero la riassegnazione del sesso senza il consenso della persona in questione; prevedere sempre un pacchetto di servizi, affiancando sempre l’assistenza psicologica all’ endocrinologica e potenziare le politiche di prevenzione per persone transgender, compresa quella del suicidio”.

L’equità dell’accesso alla salute in questo caso impone un’importante riflessione ed azioni formative mirate del personale medico – a partire dai medici di medicina generale – per evitare forme di disinformazione, discriminazione e violenza sulla base dell’orientamento sessuale e l’identità di genere, in particolare modo verso i giovani e i bambini transgender, cui spesso viene negata l’assistenza sanitaria. È fondamenteale che anche ai giovani transgender non vengano vietati trattamenti.

È emerso un vuoto conoscitivo, soprattutto sul tema del “non binarismo”, sia tra gli addetti ai lavori che delle stesse persone transgender, cui il portale vuole prestarsi come strumento di approfondimento ed orientamento.

 

Un nuovo glossario

“Le parole sono importanti” e – mai come in questo caso – possono essere condizionanti.

Occorre agire molto e a livello globale sull’uso del lessico corretto e della prevenzione dello stigma e della transfobia, soprattutto quella interiorizzata che è causa di forti disagi, un tasso di depressione dieci volte superiore alla media nazionale e, nella medesima proporzione, di tentativi di suicidio.

Infotrans dedica una parte consistente della sua struttura al glossario, alle bufale e ai falsi miti sul tema, poiché il pubblico a cui si rivolge è anche la popolazione tutta, che ha un urgente bisogno di essere alfabetizzata sul tema, a partire dagli operatori sanitari.

Dagli interventi di ieri emerge inoltre come le parole dell’universo transgender stiano cambiando.

Si evince anche dai dati esposti da Marina Pierdominici dell’Iss, responsabile scientifico dello “Studio sullo stato di salute della popolazione transgender adulta in Italia”: in Italia il 92% della popolazione si definisce binaria, ovvero si riconosce nel genere maschile o femminile.

Esiste dunque un 8% della popolazione che non si riconosce in un’identità di genere bipolare, per cui è più corretto parlare di “spettro di genere”, in cui rientra il gruppo delle persone “non binarie”.

L’identità di genere indica un senso intimo e personale di appartenenza al genere maschile, femminile o alternativo (non binario), indipendentemente dal sesso assegnato alla nascita.

Il termine genere invece si riferisce alle caratteristiche definite socialmente che distinguono il maschile dal femminile, ovvero norme, ruoli e relazioni tra individui definiti come uomini e donne.

Quando il sesso assegnato alla nascita non coincide con quello percepito dall’individuo è perciò più corretto parlare di “affermazione” di genere, anziché di “transizione”.

Mentre prima si descriveva il percorso con gli acronimiMtF” (da uomo a donna) e “FtM” (da donna a uomo), correntemente si usano invece “AFAB” (assegnato maschio alla nascita) e “AMAB” (assegnata femmina alla nascita), che possono a loro volta essere binari e non binari.

A seconda delle necessità del soggetto, il processo di percorso di assegnazione di genere può includere: il coming out verso la propria famiglia, amici e colleghi di lavoro; cambio del nome sui documentiterapia ormonale e/o chirurgica (in quest’ultimo caso parliamo di “percorso medico di affermazione di genere”). È fondamentale distinguere il coming out dall’outing ovvero la pratica di rivelare pubblicamente l’orientamento sessuale o l’identità di genere di una persona senza il suo consenso. Questo termine non è sinonimo di coming out.

Molto interessante è la sezione di Infotrans dedicata alla carriera “alias” all’Università, dove viene fornito un elenco delle università che danno la possibilità di modificare l’anagrafica del libretto universitario, anche se non si è ultimato il processo di affermazione.

 

Lo studio

La ricerca condotta dall’ISS è divisa in quattro sezioni: dati socio-anagrafici (età, cittadinanza, residenza, titolo di studio, condizione lavorativa, reddito, sesso registrato alla nascita, identità di genere), stili di vita (attività fisica, dieta, fumo di sigaretta, consumo di alcol, uso di droghe), stato di salute (accesso ai servizi sanitari e loro utilizzo, prevenzione, malattie, cure mediche e chirurgiche), identità di genere e salute (supporto psicologico, trattamento ormonale e/o chirurgico di affermazione di genere). I risultati saranno oggetto a breve di pubblicazione.

Stili di vita

I risultati hanno evidenziato che è maggiore la percentuale di persone transgender che non fa attività fisica rispetto alla popolazione generale. Il 64% delle persone transgender AMAB (donne transgender e persone non binarie assegnate maschio alla nascita) e il 58% delle persone transgender AFAB (uomini transgender e persone non binarie assegnate femmina alla nascita) non fanno attività fisica rispetto al 33% e al 42% degli uomini e delle donne nella popolazione generale (dati ISTAT). Relativamente al fumo di sigaretta la popolazione più a rischio è rappresentata dalle persone transgender AFAB che riferiscono di fumare nel 37% dei casi verso il 25% degli uomini e il 19% delle donne che fumano nella popolazione generale (dati ISTAT). Il binge drinking (consumo eccessivo di alcol in una singola occasione) è più frequente nella popolazione transgender: 23% AMAB e 17% AFAB nella popolazione transgender vs 12.5% uomini e 5.5% donne nella popolazione generale (sorveglianza Passi 2017-2020, ISS). Le differenze riscontrate tra la popolazione transgender e la popolazione generale per quanto riguarda gli stili di vita sono correlabili a molteplici fattori tra i quali minority stress (il disagio derivante dall’appartenere ad una minoranza, che impedisce di vivere serenamente la propria condizione omosessuale o transgender), episodi transfobici e transfobia interiorizzata giocano un ruolo cruciale.

 

Acesso ai servizi

Per quanto riguarda l’accesso ai servizi sanitari il 34% delle persone transgender AMAB e il 46% delle persone transgender AFAB si è sentita discriminata in ragione della sua identità e/o espressione di genere nell’accesso o utilizzo dei servizi sanitari. Questo dato, almeno in parte, può spiegare la bassa percentuale di persone transgender che si sottopone agli screening oncologici: per esempio il pap test a scopo preventivo viene eseguito soltanto dal 20% delle persone transgender assegnate femmina alla nascita vs il 79% delle donne nella popolazione generale (sorveglianza Passi 2017-2020, ISS).

 

Stato di salute

I dati relativi alla presenza di eventuali malattie sono ancora in fase di analisi ma risultati preliminari indicano significative differenze tra la popolazione transgender e quella generale, un esempio è dato dalla depressione riferita dal 40% delle persone transgender AMAB  e dal 34.5 % delle persone transgender AFAB (dato che raggiunge il 60% nella popolazione transgender non binaria sia AMAB che AFAB) vs il 4.74%  e il 7.7 % riportate rispettivamente negli uomini e nelle donne nella popolazione generale (sorveglianza Passi 2017-2020, ISS). Per quanto riguarda l’infezione da HIV si delinea un quadro in linea con i dati internazionali che indicano una prevalenza più alta, in particolare nelle persone transgender AMAB, rispetto alla prevalenza stimata nella popolazione generale (percentuale riferita dalle persone transgender AMAB 6.45% vs 0.3% negli uomini e 0.2% nelle donne nella popolazione generale).

 

La survey sui medici e i danni alla salute causati dalla discriminazione

Ma come convincere la popolazione transgender a varcare la soglia di un ambulatorio medico?

“A volte può bastare una bandiera esposta in sala d’aspetto” consiglia Rosa Pedale, medico di medicina generale, vicepresidente S.I.M.G. (Società Italiana di Medicina Generale) di Foggia e mamma A.GE.D.O. (associazione di amici, parenti e genitori di omosessuali).

Nella sua toccante testimonianza, Pedale pone l’accento sui veri “medici in prima linea”: “La medicina generale è un osservatorio privilegiato perché è il medico della persona e della famiglia della persona che fa coming out. Tutta la famiglia è protagonista di un coming out il quale, prima arriva meno problemi di discriminazione ci saranno. Già esporre in studio un manifesto, come quello di questo convegno oggi, o una bandiera colorata è un segnale evidente per un paziente che lì può andare tranquillo (“il medico capisce”). Il medico deve saper fare le domande e l’anamnesi, usare il lessico giusto, non discriminatorio, saper effettuare una visita. Il 30% delle persone non si recano dai propri medici perché hanno paura di essere discriminati e questo provoca un ritardo di diagnosi molto importante!

Inoltre il rischio suicidario è altissimo: i transessuali tentano il suicidio 10 volte di più della popolazione media”.

 

La mancanza di fiducia nel sistema sanitario da parte di questa fetta di popolazione deriva spesso da una lacuna formativa da parte degli stessi medici e del personale coinvolto. È quanto emerge dalla relazione di Pedale ma anche dalla survey dedicata ai medici di medicina generale in tema di benessere e salute da parte della popolazione transgender, i cui risultati parziali (il sondaggio resta online fino a settembre, disponibile esclusivamente per i mmg a questo link) sono stati esposti da Luisa Brogonzoli, responsabile del Centro Studi di Fondazione The Bridge.

Il sondaggio è rivolto a tutti i medici di medicina generale della penisola, l’83% dei quali ha in carico più di mille assistiti.

Emerge da subito il sovraccarico di utenti come primo problema ad inficiare la qualità del servizio offerto.  Altro dato rilevante è il fabbisogno formativo mirato in tema di salute e benessere delle persone transgender a cominciare dalla formazione universitaria degli stessi medici generici, la necessità di linee guida da applicare per un’assistenza sanitaria più inclusiva di questa fascia di popolazione e l’inclusione nelle cartelle cliniche del dato relativo all’identità di genere.

 

Il progetto Infotrans non si ferma al portale informativo, ma prevede una seconda fase con azioni specifiche per supportare pubbliche amministrazioni al fine di promuoverne la parità di trattamento e l’inclusione di tutte le persone. Verranno dati suggerimenti sulle pratiche per attivare processi di empowerment delle Istituzioni, dei datori di lavoro e degli operatori sanitari.

La terza fase prevede la formazione professionale sul tema di un approccio corretto e non discriminatorio rivolta ai medici ed agli operatori sanitari.

https://mohre.it

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