
“Farsi” di Internet: più a rischio gli adolescenti
Di Anna Benedetto
È partita il 3 novembre la 7^ edizione “Una vita da social” la più importante campagna itinerante di educazione al corretto utilizzo dei social network e prevenzione al cyberbullismo da parte della Polizia di Stato che, a bordo di un furgone itinerante, percorrerà lo stivale incontrando in piazza studenti, genitori ed insegnanti per mostrare loro come stare nella rete evitando i pericoli.
I rischi legati all’utilizzo inappropriato delle tecnologie possono sfociare in veri e propri reati (pedopornografia, adescamento, cyberbullismo, sextortion, furto d’identità digitale, alle truffe online), ma anche – come confermato da un recente studio internazionale – in condotte patologiche o dipendenze. I soggetti più a rischio in questo caso sono i più giovani.
Ad avvalorare l’allerta, una recente inchiesta del Wall Street Journal, chiamata “The Facebook Files”, che ha diffuso un dossier interno all’azienda (divulgato da una ex dipendente di Facebook, Frances Haugen, e contestati dalla società) sugli effetti di Instagram (di proprietà di Facebook) sulla psiche delle adolescenti. Secondo questa ricerca condotta da un team di ricercatori interni all’azienda, Instagram provocherebbe seri problemi psicologici ad un adolescente su tre.
I problemi più frequenti correlati all’uso del social sono la scarsa autostima, una percezione problematica del proprio corpo, con il rischio di sviluppare sintomi depressivi o disturbi dell’alimentazione come l’anoressia.
Nel 2018 inoltre Facebook ha cambiato gli algoritmi del suo newsfeed. Il risultato è stato quello di creare una macchina che si alimenta dell’odio e dell’indignazione degli utenti, dal momento che sono i post più polarizzanti a generare traffico.
Anche in questo caso, Facebook sembrerebbe – nei fatti – veicolare “il male” salvo poi – per policy – segnalarne “la cura”.
Disturbi comportamentali, Internet e pandemia
Ma bisogna distinguere tra ‘uso’ e abuso, proprio come avviene per le sostanze, si parla quindi di Internet Addiction Disorder (IAD) “quando la maggior parte del tempo e delle energie vengono spesi nell’utilizzo della rete, creando in tal modo menomazioni forti e disfunzionali nelle principali aree esistenziali” http://Scaramozzino D., Rabuffi M. (2014) : https:/www.istitutopsicoterapie.com/dsm-5-dipendenze-da-nonsostanze-linternet-addiction-disorder/.
Ne è potenzialmente a rischio il 53% della popolazione mondiale che possiede oggi una connessione Internet, ovvero 4,6 miliardi di persone.
In Italia quasi il 95% dei ragazzi tra i 14 e 19 anni utilizza Internet: sono stimati in 300 mila tra i 12 e i 25 anni quelli con dipendenza da internet (dati ISTAT). Studi internazionali segnalano che l’utilizzo della tecnologia può diventare problematico in una percentuale compresa tra l’1 e il 4% circa di questi ragazzi.
Una stima fortemente accresciuta del confinamento sociale causato dal lockdown da COVID-19, che ha impresso un’enorme accelerazione alla diffusione di nuove tecnologie finalizzate a velocizzare alcuni processi (e-commerce, home-banking, smartworking e tele-medicina) ma ha anche acuito le ricadute patologiche per molti fruitori.
Si parla di ludopatia, compulsione o dipendenza da sesso virtuale (nota anche come dipendenza da cybersex), condivisione eccessiva di informazioni personali attraverso i siti di social networking, dismorfismo e altre varianti di comportamenti compulsivi, depressivi o di sovraccarico cognitivo.
Internet tra le nuove “dipendenze da non sostanze”
La dipendenza da Internet è annoverata tra le nuove dipendenze o dipendenze senza sostanza che – al pari delle nuove tecnologie – stanno ridisegnando i confini tra salute e malattia mentale. Il tratto distintivo di queste dipendenze è la disregolazione degli impulsi e la difficoltà nel gestire stati emotivi dolorosi.
I segnali principali dello IAD sono: la perdita del senso del tempo con aumento delle ore di collegamento a discapito di quelle dedicate ad affetti, famiglia e studio/lavoro (isolamento sociale), sconvolgimento del regolare ciclo sonno-veglia, disturbi del sonno, dell’appetito, affaticamento, scarsa cura del corpo e dell’igiene, mal di testa, tunnel carpale, conseguenze finanziarie (nel caso di gioco d’azzardo e shopping compulsivo), stati d’ansia in assenza di copertura di rete (nomofobia, letteralmente “no-mobile-phobia” o sindrome da disconnessione).
Anche alla base delle dipendenze senza sostanza – come per quelle da droga, sesso e cibo – vi è la dopamina, il neurotrasmettitore che regola i meccanismi del piacere e della ricompensa.
Ugualmente, le terapie ritenute più efficaci per curare la dipendenza da tecnologia sono similari a quelle usate per le altre dipendenze, ovvero la terapia cognitivo-comportamentale, terapia di gruppo di tipo psicoterapeutico o di auto-mutuo aiuto e terapia familiare.
Iperconnessione: i più indifesi sono i minori
In Italia il maggior contributo allo studio di questo fenomeno si deve allo psichiatra Tonino Cantelmi, il quale fu il primo a diagnosticare lo IAD – chiamandolo “intossicazione da Internet” – in quattro pazienti da lui seguiti nel 1998.
Negli anni il focus del centro interdisciplinare si è giustamente spostato verso l’età pediatrica, come spiega il suo fondatore, lo psichiatra Federico Tonioni: “Per i bambini e gli adolescenti un uso disfunzionale del tempo passato online può innescare distorsioni nei processi di costruzione dell’identità e dell’immagine personale correlate a nuovi fenomeni dissociativi, portando alla dipendenza patologica e a segnali crescenti di ritiro sociale, con aspetti sovrapponibili al fenomeno giapponese “Hikikomori”. Allo stesso modo, le trasformazioni neurocognitive, conseguenti a un modo diverso di interagire con la realtà aprono dinamiche nuove nella clinica e nella riabilitazione dei disturbi dell’apprendimento e di quelli legati all’area neurologica”.
La permanenza eccessiva di bambini e adolescenti davanti a smartphone e consolle digitali può avere conseguenze sullo sviluppo e il sano funzionamento del corpo, con ricadute negative sulla vista, sulla postura e indirettamente sull’obesità infantile.
Per quanto si tratti di “nativi digitali” e dunque di generazioni per cui la tecnologia è ubiquitaria ed ha modificato in maniera condizionante l’approccio a se stessi e al mondo, i genitori e gli “adulti” loro prossimi hanno il dovere di allarmarsi ogni qual volta la tecnologia venisse scelta a discapito della vita reale, scolastica e relazionale dei loro ragazzi.