Febbre di lassa, niente panico: ecco cosa bisogna sapere

di Ida Macchi

Un  nuovo virus, simile al temibile Ebola, sta seminando la paura in Inghilterra: ha ucciso una persona e infettate altre due, vittime della febbre di Lassa, patologia emorragica che è endemica nell’Africa occidentale, ma che sino ad oggi era quasi sconosciuta in Europa. L’Agenzia per la sicurezza sanitaria del Regno Unito (UKHSA) ha infatti confermato che i tre malati, inclusa la persona deceduta, sono membri di una famiglia ritornata nel Regno Unito di recente dopo un viaggio in Africa. Non solo, ha aggiunto dal 1980 al 2009 nel Paese sono stati registrati solo 8 casi di infezione, sempre a carico di persone provenienti dall’estero. Lo spettro di un’epidemia globale come quella scatenata dal Covid 19 sembrerebbe perciò improbabile e la paura che la febbre di Lassa possa diffondersi a macchia d’olio nel vecchio continente infondata. Ma è proprio così ? “Si, perché, l’alert è stato immediato e, nonostante la malattia abbia inizialmente sintomi simili a molte altre infezioni, è stata prontamente identificata”, rassicura il professor Fabrizio Pregliasco, virologo dell’Università di Milano. La capacità di diagnosticarla è quindi un’efficace arma di difesa, ma dalla nostra abbiamo anche la via attraverso cui l’infezione passa all’uomo che ne limita la diffusione: ”non si trasmette per via aerea e quindi non passa da una persona all’altra con la respirazione e le goccioline di saliva che si emettono parlando”, sottolinea il nostro virologo . “Il contagio avviene invece ingerendo o inalando gli escrementi o la saliva dei Mastomys natalensis, roditori diffusi nell’Africa meridionale e serbatoi naturali del virus, ma fortunatamente non presenti alle nostre latitudini. Oppure, l’infezione si diffonde con contatti diretti con ferite, mucose, sangue o fluidi (urina, saliva, feci, liquido seminale per esempio) di una persona infetta. Abbracci e strette di mano occasionali , invece, non rappresentano alcun rischio”. 

Asintomatica e senza conseguenze nella maggioranza dei casi 

Nella maggioranza dei casi la febbre di Lassa non dà sintomi e non provoca danni alla salute. “Capita spesso che operatori sanitari e missionari che lavorano nelle zone dove la malattia è endemica scoprano di averla contratta senza accorgersene solo attraverso un esame sierologico, che rileva la presenza degli anticorpi sviluppati in risposta alla presenza del virus”, spiega il professor Pregliasco. “Nel 20% dei casi, invece, la febbre di Lassa si manifesta in tutta la sua gravità e interessa l’intero organismo. I sintomi iniziali, successivi ad un’incubazione che varia da 1 a 3 settimane: febbre, mal di testa, dolori muscolari, mal di gola, tosse secca, associati a disturbi gastrointestinali come nausea, vomito e diarrea. Poi la malattia progredisce, provocando sanguinamenti delle mucose (di occhi, naso gengive , ma anche vaginali o gastrointestinali),  gravi difficoltà respiratorie, gonfiore del viso e del collo, convulsioni, coma e shock, ovvero una brusca caduta della pressione che impedisce al circolo sanguigno di garantire sangue a tutti gli organi. Nel mirino anche l’orecchio che può rimaner preda di acufeni che in 1/3 dei casi  possono evolvere sino alla perdita dell’udito, e il cervello che può rimaner vittima di un’encefalite, l’infiammazione delle membrane che lo avvolgono.  La malattia è potenzialmente fatale perché può portare ad un’insufficienza multiorgano, cioè al mal funzionamento di organi vitali come polmoni, cuore, reni.  La mortalità è pari all’’1% , ma può raggiungere il 15 % tra i malati ricoverati in ospedale”.

Diagnosi e cura

La diagnosi si effettua con una PCR, esame del sangue che valuta la presenza di una proteina che si innalza in caso di infiammazione , e con test sierologici che nel nostro Paese possono essere effettuati  nei centri di malattie infettive di riferimento: l’ospedale Sacco di Milano e lo  Spallanzani di Roma. Le cure, ospedaliere, si avvalgono invece di un antivirale, la ribavirina  che è tanto più efficace quanto prima viene somministrato. Se necessario, viene associato ad antibiotici per evitare sovra infezioni batteriche e a cure che sostengono le funzioni vitali: trasfusioni di sangue , plasma e piastrine , ossigeno, infusioni di liquidi e elettroliti. Ad oggi non esiste invece alcun vaccino che protegga dalla malattia.  

https://mohre.it

Leave a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*
*

Chinese (Simplified)CroatianEnglishFrenchGermanItalianJapaneseRussianSpanish