Il salasso nella Medicina da Ippocrate a oggi

di Anna Benedetto 

Il salasso è stata una delle pratiche mediche più antiche e longeve nella storia dell’umanità. Praticata dagli Assiri, gli Egizi, i Greci, i Romani, gli Aztechi e i Maya, essa consiste nel sottrarre sangue al paziente  applicando delle sanguisughe o tramite l’incisione di vasi sanguigni, l’utilizzo di appositi macchinari e in fine siringhe.

Oggi col termine “flebotomia”  (ovvero la tecnica di incidere le vene per effettuare il salasso) si indica infatti il prelievo di sangue in generale, per esami e/o donazioni.

 

Evoluzione nella Storia

In Occidente la pratica del salasso trae le sue origini in Grecia nel V secolo a. C. dalla teoria degli umori di Galeno e di Ippocrate che, a sua volta, è alla base della nascita della Eziologia (scienza che studia la causa delle malattie) e della storia della Medicina occidentale.

Secondo questa teoria il discrimine tra salute e malattia era uno squilibrio fra i quattro umori del corpo (cioè bile nera, bile gialla, flemma e sangue) in relazione ai quattro elementi naturali (terra, fuoco, acqua e aria). Per curare le varie malattie era dunque necessario compensare fisicamente l’eccesso o la mancanza di questo o di quell’umore. 

Galeno credeva che il sangue fosse l’umore dominante, perciò quello che avesse più bisogno di essere controllato. Egli creò un complesso metodo per calcolare quanto sangue andasse rimosso a seconda dell’età e della costituzione fisica del paziente, nonché della stagione, del clima e del luogo. La febbre, l’apoplessia (emorragia cerebrale) e la cefalea erano considerati sintomi di un eccesso di sangue (pletora). Il sangue da asportare era di una natura specifica, determinata dal tipo di malattia: poteva essere arterioso o venoso e lontano o vicino all’area del corpo affetta. Egli collegava i diversi vasi sanguigni ai diversi organi, secondo il loro presunto scarico. Per esempio, si faceva riferimento alla vena della mano destra per curare problemi al fegato, mentre alla vena nella mano sinistra per problemi alla milza. Più era grave la malattia, maggiore doveva essere il quantitativo di sangue da prelevare. Le malattie febbrili richiedevano i salassi più abbondanti.

La pratica del salasso si diffuse poi in tutta la Grecia antica e la Roma imperiale per trattare una vasta gamma di disturbi, tra cui la febbre, l’epilessia, la tubercolosi e l’infarto.

Nel Medioevo, il salasso divenne una pratica medica comune in tutta Europa, utilizzata in maniera massiva per il trattamento della maggior parte delle malattie, tra cui la peste, la lebbra e la tubercolosi

Durante il Rinascimento, il salasso venne promosso come una pratica medica fondamentale da molti importanti medici dell’epoca, tra cui Paracelso e Andreas Vesalio. Tuttavia, col passare del tempo, questa pratica medica divenne sempre più controversa. 

Quiringh Van Brekelankam, Il salasso, 1660

Il Medioevo, la Chiesa e la figura del barbiere – ‘cerusico’

Durante il Concilio Lateranense IV, convocato a Roma nel 1215, Papa Innocenzo III emise un decreto che vietava agli ordini ecclesiastici maggiori di praticare la chirurgia, poiché era la pratica che portava maggiormente alla morte il malato per azione diretta del medico.

Come conseguenza questa professione abbandonata cadde nelle mani dei ‘barbieri-chirurghi’, veri e propri maestri nell’operazione del salasso. La figura del cerusico (termine con cui per molti secoli si indicò la figura del chirurgo) comparve nel corso dell’Alto Medioevo, epoca in cui l’attività chirurgica viene relegata nelle mani di figure minori come barbieri, norcini ed ambulanti.

Questo può essere spiegato con la natura stessa dell’atto operatorio per come veniva praticato a quei tempi, senza alcuna anestesia e in condizioni igieniche precarie, che risultava particolarmente cruento e rischioso tanto da essere ritenuto un atto indegno per un medico.

I barbieri erano già in possesso delle attrezzature necessarie all’esecuzione della flebotomia ed oltre a tagliare i capelli potevano estrarre denti, amputare gli arti e attaccare le sanguisughe sul corpo dei pazienti.

Nella Londra medievale ogni bottega esponeva alla finestra, allo scopo di pubblicizzare la propria attività, dei grandi boccali colmi del sangue dei clienti allo scopo di attirare l’attenzione dei passanti.

Quando nel 1307 per legge questa pratica venne abolita, la gilda dei barbieri iniziò a usare il palo a strisce come simbolo meno cruento che pubblicizzasse i servizi offerti. L’asta rimandava al palo che veniva dato da stringere al paziente durante il salasso, in modo che le vene del braccio risultassero più visibili a causa dello sforzo. Il pomo in bronzo all’estremità del palo aveva la forma del vaso in cui veniva raccolto il sangue. Le strisce rosse erano invece le garze insanguinate, che venivano avvolte intorno al palo e fatte asciugare al sole.

Ecco svelata una curiosità all’origine dell’iconografia diffusa tra i barber shop attualmente così di moda. 

 

…E le sanguisughe?

Le sanguisughe (hirudo medicinalis) venivano già citate già da Ippocrate come il metodo migliore per drenare l’eccesso di sangue. Nell’Ottocento questi parassiti delle paludi erano uno dei rimedi più usati dai medici, al punto che in in Francia ne venivano importante circa 40 milioni ogni anno. 

Il ‘pasto’ di una sanguisuga dura 20-40 minuti, suggendo 10-15 millilitri di sangue ed aumentando di 8-11 volte la massa corporea del parassita. Il suo intestino è dotato di numerose tasche che accumulano l’alimento, smaltito in circa 6-7 mesi grazie all’azione di batteri simbionti. Considerati i tempi lunghi della digestione, la sanguisuga non si alimenta più di 2 volte all’anno e può sopravvivere anche un anno e mezzo con un unico pasto, in quanto la sanguisuga può sopravvivere – in attesa di un’altra ‘vittima’ – digerendo i tessuti del proprio stesso corpo.

L’efficacia terapeutica delle sanguisughe è da ricondursi a più fattori: il prelievo di sangue da parte dell’animale e il conseguente sanguinamento hanno l’effetto di un lento salasso, che consente di scaricare dall’organismo le sostanze dannose e di eliminare ristagni a livello circolatorio e linfatico.

In più, durante la suzione, la sanguisuga secerne attraverso la saliva numerose sostanze nella ferita, tra cui l’irudina, che ha azione anticoagulante, e l’eglina, dagli effetti antinfiammatori ed analgesici. Altri principi attivi hanno proprietà vasodilatatrici ed antispasmodiche e favoriscono la circolazione. Il morso dell’animale peraltro non induce dolore, poiché produce un potente anticoagulante e un anestetico.

Oggi la chirurgia contemporanea ha riportato in auge l’utilizzo di questi animali per il trattamento post-chirurgico di innesti di pelle, dita e orecchie persi in incidenti. Questi anellidi producono sostanze anticoagulanti, anestetiche e antibiotiche, che risolvono il problema della formazione di grumi di sangue, pericolosi dopo le piccole amputazioni praticate dal chirurgo, evitando così il rischio di trombosi e permettendo di dare più tempo alle piccole vene di riformarsi attorno al tessuto.

Una pratica che è stata utilizzata neanche dal team di chirurghi maxillo-facciali del Policlinico di Milano nel complesso decorso post-operatorio di una donna a cui un cane aveva strappato il labbro con un morso. Dopo l’operazione, per i successivi 12 giorni, la donna è stata sottoposta a cicli serrati di suzione da parte di sanguisughe medicinali, sostituite ogni 2 ore, per facilitare il drenaggio che le vene ‘strappate’ non potevano più fare.

Il paradigma della sanguisuga in chirurgia è risultato così illuminante da spingere dei ricercatori a testare prototipi meccanici – e quindi meno repulsivi per il paziente rispetto all’applicazione di parassiti sul proprio corpo –  per il trattamento della congestione venosa.

 

Il declino del salasso

Nel XVIII e XIX secolo, il suo utilizzo venne messo in discussione e criticato da molti importanti medici, tra cui William Harvey e John Hunter. Questi medici sostenevano che il salasso non solo non era efficace ma poteva anche essere dannoso per la salute dei pazienti.

Tuttavia il salasso fu ancora utilizzato in alcune circostanze: ad esempio nel XVIII secolo per trattare la febbre gialla e nel XIX secolo per trattare la tubercolosi e la polmonite.

Negli Stati Uniti il salasso rimase a lungo una tecnica utilizzatissima, tant’è che una delle sue vittime illustri fu addirittura George Washington, primo presidente degli Stati Uniti e vittima – a suo modo – di un episodio di ‘malasanità’.  Gli vennero fatti defluire 1,7 litri di sangue (un adulto possiede da 4,5 a 5,5 litri di sangue) in seguito ad una febbre influenzale che, combinata ad una laringite, portarono l’uomo alla morte nel giro di poche ore.

 

Il salasso terapeutico oggi

Oggi il salasso viene utilizzato come terapie per patologie assai specifiche.

Con un salasso si rimuovono dal circolo sanguigno 350 o 400 ml di sangue. Il sangue contiene per il 40-45% una parte solida costituita dai globuli rossi (in grande maggioranza), dai globuli bianchi e dalle piastrine e una parte liquida (il plasma) che contiene proteine, grassi, oligoelementi, ecc, essenziali per la vita.

Togliere il sangue, se non c’è una chiara indicazione medica, vuol dire affaticare l’apparato cardiocircolatorio, indurre una anemia, depauperare l’organismo di elementi vitali. 

Viceversa, il salasso terapeutico è la terapia di eccezione per le malattie da sovraccarico di ferro quali l’emocromatosi, una malattia genetica che porta l’organismo ad assorbire troppo ferro e ad accumularlo in una serie di organi (fegato, pancreas, ipofisi, articolazioni, cuore, ecc) che ne vengono progressivamente danneggiati. Pare che uno dei personaggi più famosi affetti da questa malattia sia stato Beethoven, il cui decesso è attribuibile ad una cirrosi epatica, determinata da un mix di emocromatosi e alcol.

Altra patologia trattabile con salasso è la porfiria cutanea tarda, una malattia metabolica la cui terapia prevede il ricorso a flebotomie per abbassare i livelli di ferro epatico ed eliminare alterazioni cutanee (vesciche e bolle) molto fastidiose e dolorose. Anche se di recente si è passato all’uso del deferasirox, che ha dato ottimi riscontri già nel giro di 6-8 settimane.

Con il salasso terapeutico vengono rimossi circa 200 milligrammi di ferro (per un salasso di circa 400 ml di sangue). Il ferro depositato nel fegato viene quindi messo subito a disposizione per la produzione di globuli rossi, permettendo ai pazienti affetti da emocromatosi e porfiria cutanea tarda di sottoporsi ad un ciclo di salassi senza rischio di sviluppare l’anemia.

La flebotomia è la parte più essenziale del trattamento della poliglobulia secondaria  a BPCO ( broncopneumopatia cronica ostruttiva),  un’infiammazione cronica delle vie aeree e del tessuto polmonare che, in maniera lenta e progressiva, provoca l’ostruzione dei bronchi e la conseguente limitazione del flusso aereo.

Chiude la panoramica sul salasso terapeutico la policitemia vera, una rara forma di tumore caratterizzato da un eccesso di globuli rossi e, in alcuni casi, di globuli bianchi e piastrine ed infine, saltuariamente, nella bronchite cronica, condizione in cui i bassi livelli di ossigeno circolante stimolano la produzione di globuli rossi in quantità eccessive (policitemia secondaria).

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