Insonnia: quando è colpa del cortisone

Ida Macchi

Difficoltà ad addormentarsi, notti agitate e sonno di pessima qualità: un tipo di insonnia che può essere un effetto collaterale di una cura a base di cortisone in particolare prednisone (deltacortene). “Sono derivati di sintesi di un ormone normalmente prodotto dalle nostre ghiandole surrenali (il cortisolo) di cui “copiano” anche l’azione: entrare all’interno delle cellule attraverso una porta chiamata recettore per i glucocorticoidi, riducendo la produzione delle molecole infiammatorie e rimodulando la risposta del sistema immunitario”, spiega il  professor Giuseppe Plazzi, docente di Neurologia all’Università di Bologna e Responsabile del Centro di Medicina del Sonno dell’Istituto delle Scienze Neurologiche di Bologna. Mettono perciò alle corde reazioni allergiche e infiammazioni: in tempi record e con un’efficacia senza pari, tanto che il cortisone è considerato un vero jolly della farmacopea e in alcuni casi è addirittura un salvavita.

Dà la sveglia  

Nonostante ciò, preso per bocca o iniettato per via intramuscolare o endovenosa, può mandare in tilt i naturali ritmi della nanna, rendendoci insonni e spesso anche in preda ad ansia e tachicardia, soprattutto se le cure sono prolungate e ad alte dosi. I motivi? “Il farmaco mima un ulteriore effetto del cortisolo che è quello di dar la sveglia al nostro organismo mettendoci nelle condizioni di entrare in azione, ma anche di superare momentanei momenti di stress con tutta l’efficienza e l’energia di cui abbiamo bisogno”, spiega il professor Plazzi. “L’ormone, infatti, ha un’azione eccitatoria e, non  a caso, l’organismo lo produce soprattutto al mattino ( il picco maggiore si raggiunge all’alba), quando dobbiamo svegliarci e abbiamo bisogno di una sorta di scossa per affrontare gli impegni della giornata. Ne riduce invece la produzione nel corso del giorno, raggiungendo un picco minimo tra le 22 e le 24, in modo da permetterci di dormire”.

Assumerlo la mattina

Ed è proprio qui che nasce il problema: a seconda del farmaco usato, il cortisone ha una durata d’azione che varia dalle 8 alle 72 ore durante le quali agisce anche sui ritmi sonno-veglia, mantenendoci in uno stato di allerta che rende più difficile lo scivolare tra le braccia di Morfeo. Esiste però ugualmente la possibilità di ridurre i rischi di questo effetto rebound sulla nanna. Il primo: “seguire alla lettera i dosaggi prescritti e consultare il medico per verificare se è possibile assumere il farmaco in una unica soluzione la mattina”, suggerisce il professor Plazzi. “In questo modo il cortisone ricalca maggiormente il ritmo circadiano dell’ormone di cui copia gli effetti ed è più facile che anche lo stato di allerta si esaurisca nel corso della giornata, rendendo meno difficile l’addormentamento e un sonno continuo. Se questo non basta, il medico può prescrivere un ipnotico, in grado di combattere l’insonnia. Non ci sono controindicazioni o rischi per la salute ad associarlo al cortisone”.

Mai sospenderlo di colpo  

Attenzione anche al momento in cui si sospendono cure prolungate con il cortisone, come quelle necessarie per esempio per malattie croniche come l’artrite reumatoide: “il cortisone non deve mai essere sospeso da un giorno all’altro e i dosaggi vanno progressivamente scalati seguendo uno schema definito dal medico”, sottolinea il professor Plazzi.”

Si evita così di incorrere in una sorta di crisi d’astinenza corredata da tutta una serie di disturbi. Nell’organismo, infatti, esiste un sofisticato sistema di regolazione del cortisone endogeno e, se le cure si protraggono nel tempo, il corpo si abitua ai corticosteroidi esterni, disimparando a produrne di propri. Sospendendo improvvisamente i farmaci, perciò, si può manifestare la cosiddetta sindrome da insufficienza cortico–surrenalica che è caratterizzata da stanchezza, malessere generale, alterazioni nel metabolismo degli zuccheri con crisi ipoglicemiche, febbre e dolori muscolari e delle articolazioni”.

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