La demenza a corpi di Lewy, la malattia di Monica Vitti

Valentina Arcovio

La celebre attrice Monica Vitti era affetta da demenza a corpi di Lewy. Come racconta suo marito Robero Russo, la convivenza con questa malattia è durata molti anni. E’ una patologia molto diffusa: si stima rappresenti la seconda forma più frequente di demenza degenerativa dopo la malattia di Alzheimer e rappresenta tra il 10% e il 20% dei casi di demenza sopra i 65 anni. Questa malattia prende il nome dal neurologo Friedrich H. Lewy che scoprì la presenza di depositi proteici (definiti in seguito “corpi di Lewy”) che si accumulano nel cervello in maniera anomala e danneggiano le cellule nervose. Attualmente le cause esatte di questo accumulo sono sconosciute.

Fluttuazione dei sintomi e disturbi del sonno sono i segnali tipici della malattia

La malattia è caratterizzata principalmente dal progressivo declino delle funzioni cognitive, in grado di interferire con le attività sociali e occupazionali del paziente. Tra i sintomi ci sono alterazioni del comportamento tra cui deflessione del tono dell’umore, la riduzione dell’iniziativa a svolgere le attività della vita quotidiana e allucinazioni o illusioni visive, in cui il paziente vede oggetti, animali o persone che non esistono. A un certo punto può insorgere anche un disordine del movimento simile a quello che si osserva nella malattia di Parkinson, caratterizzato da rigidità, rallentamento motorio, tremore ed alterazione dell’equilibrio e della marcia. Ma un elemento caratteristico della patologia è la fluttuazione dei sintomi, in particolare di concentrazione, attenzione o veglia, per cui il paziente può alternare stati di vigilanza e lucidità a stati di sopore o confusione, di durata variabile da ore a giorni. Altro sintomi  tipico è il disturbo del comportamento in sonno REM , per cui il paziente durante il sonno si comporta come se stesse agendo un sogno, ad esempio litigare con qualcuno, parlare e gesticolare, difendersi come se fosse aggredito.

La diagnosi, dalla visita con il neurologo agli esami strumentali

La diagnosi si effettua attraverso una prima visita da parte del neurologo, che valuta il paziente dal punto di vista cognitivo, attraverso semplici domande e piccole azioni da svolgere, dal punto di vista motorio e comportamentale. Secondo gli specialisti, è importante raccogliere le informazioni cliniche (esordio e caratteristiche dei sintomi) dal paziente e dai familiari. Il neurologo può inoltre identificare alterazioni vegetative, misurando ad esempio la pressione quando il paziente è sdraiato e quando si mette in piedi. Il neurologo può richiedere un approfondimento clinico tramite la valutazione neuropsicologica che è utile a definire il profilo e il grado di alterazione delle funzioni cognitive in modo tale da distinguere la demenza dalla degenerazione associata all’età e da altre patologie come ad esempio la depressione. Questa valutazione è anche utile per approfondire la autonomia e le funzioni residue del paziente e le sue risorse affettive e comportamentali. Ci sono poi altri esami strumentali, come la tomografia computerizzata e la risonanza magnetica del cervello, che servono ad escludere altre cause di disturbo cognitivo e aiutano nella diagnosi differenziale con le altre demenze. E poi si può ricorrere alla Pet, alla scintigrafia miocardica e alla puntura lombare.

Le terapia sono mirate contro i sintomi

Dal punto di vista terapeutico, per migliorare le prestazioni cognitive, sono consigliati gli stessi farmaci utilizzati anche per la malattia di Alzheimer, ovvero gli inibitori dell’acetilcolinesterasi, tra i quali il più indicato è la rivastigmina, o la memantina. Per i problemi comportamentali può essere preso in considerazione il trattamento con basse dosi di antipsicotici atipici. I sintomi motori vengono trattati come nella malattia di Parkinson con levodopa o basse dosi di dopamino agonisti. Tuttavia, la risposta motoria a questo farmaci è limitata rispetto a quanto osservato nella malattia di Parkinson e le allucinazioni possono peggiorare dopo l’assunzione di questi farmaci. I disturbi del sonno, tra cui il disturbo del comportamento in sonno REM, possono essere trattati con il clonazepam (una benzodiazepina) o la melatonina. Sono infine importanti anche i trattamenti non farmacologici. Infatti, è consigliato creare attorno al paziente un ambiente confortevole e stimolante, e ogni nuova abitudine deve essere spiegata per ridurre disorientamento. Di qui, la predilezione per la routine quotidiana, che preveda attività fisiche e mentali che coinvolgano la fisioterapia, la logopedia, la terapia occupazionale e la stimolazione cognitiva. Il ruolo del caregiver(solitamente il coniuge o i figli) è molto importante per cui si raccomanda spesso l’inserimento di questa figura in gruppi di supporto o di attività di counseling.

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