NEL POLPACCIO LA ‘SENTINELLA’ PER PREVENIRE LA DEMENZA

(di Anna Benedetto)

Nuovi studi indicano che ci sono diverse vie per migliorare le nostre capacità cognitive prima che demenza e Alzheimer si sviluppino. 

I ricercatori hanno dimostrato ad esempio che c’è una relazione diretta tra la pressione sanguigna, la forza delle gambe e la salute del cervello e che il loro potenziamento potrebbe prevenire – tra le varie patologie – anche l’atrofia cerebrale e la demenza.

Il sistema vascolare può agire in un certo senso come un “secondo cuore” per il nostro corpo. Le vene dei nostri polpacci fungono da serbatoio per il sangue che non ha bisogno di essere fatto circolare in quel momento. Queste vene sono chiamate seni venosi.

Quando il muscolo del polpaccio si contrae durante l’attività fisica, il sangue viene spinto attraverso il nostro corpo lungo il sistema venoso verso il cuore ed il cervello.

Se questo meccanismo non funziona al massimo del suo potenziale, può causare ristagni di sangue, ictus, claudicatio ed altre conseguenze gravi per la salute. 

Gambe deboli o atrofia muscolare nei polpacci possono essere particolarmente dannosi per la salute proprio per queste ragioni.

Demenza: cosa c’entra il polpaccio?

L’atrofia muscolare da disuso è comune nelle persone anziane con uno stile di vita sedentario o in quelle con paralisi, lesioni del midollo spinale o prolungato riposo a letto. Quando invece i muscoli vengono utilizzati (ed allenati), le piccole fibre muscolari vengono costantemente danneggiate e riparate, diventando sempre più forti.

Cachessia, anoressia, malnutrizione, perdita di peso o cancro possono causare un decadimento improvviso della massa muscolare. La sarcopenia – ovvero la perdita graduale della massa muscolare scheletrica e della forza attraverso la rottura delle fibre muscolari – è un’altra causa comune di atrofia muscolare.

Poiché i muscoli del polpaccio possono regolare il flusso di sangue al cervello, la perdita di massa muscolare nella parte inferiore della gamba può essere dannosa.

Fortunatamente, l’atrofia e la debolezza muscolare possono essere invertite grazie alla stimolazione e all’allenamento costante di questi muscoli. L’allenamento di resistenza (con un’attività fisica che coinvolge pesi e bande di resistenza) è particolarmente efficace a tal fine: gli esercizi che aiutano a costruire la forza muscolare nel gastrocnemio e nel soleo sono i sollevamenti dei polpacci seduti o in piedi.

Ne soggetti che non possono eseguire un esercizio regolare, la stimolazione elettrica funzionale, praticata da un fisioterapista, può essere una valida opzione.

L’esercizio fisico regolare ha così tanti benefici quali la perdita di grasso, la riduzione dei sintomi della depressione, il miglioramento della forza muscolare e l’aumento della massa muscolare magra, oltre che l’aumento della durata della vita e – come ora sappiamo – è utile per contrastare anche il deperimento cognitivo.

Uno studio è stato fatto per analizzare il legame tra ipotensione ortostatica e disturbi cognitivi. Gli scienziati hanno esaminato i dati di una clinica della memoria, dove sono stati trattati pazienti con demenza, declino cognitivo lieve e declino cognitivo soggettivo. Ogni paziente si è fatto misurare la pressione sanguigna una volta da sdraiato e due volte dopo essere stato in piedi.

L’analisi ha mostrato che i partecipanti con ipotensione avevano anche un alto tasso di qualche tipo di declino cognitivo (l’ipotensione era presente nel 19% dei pazienti con declino cognitivo soggettivo, nel 28% dei pazienti con declino cognitivo lieve e nel 41% dei pazienti con demenza). 

Demenza e scenari futuri

Nel rapporto “Dementia prevention, intervention, and care: 2020 report of the Lancet Commission la Commissione del Lancet registra un caso di demenza nel mondo ogni sette secondi: ad oggi sono 24,3 milioni le persone che ne sono affette con 4,6 milioni di nuovi malati l’anno. Il dato è destinato a raddoppiare entro il 2040.

L’Europa è al secondo posto, dopo la Cina, tra i paesi più colpiti al mondo. 

Dalla demenza non è possibile guarire ovvero non ci sono ad oggi farmaci o trattamenti in grado di invertirne le condizioni di declino cognitivo. È possibile unicamente trattarla mitigandone la sintomatologia, con l’obiettivo di migliorare la qualità di vita del malato e, indirettamente, dei caregiver. Le quattro macro-categorie di farmaci coinvolti nel trattamento della sintomatologia sono: gli inibitori dell’acetilcolinesterasi, gli antagonisti del recettore del glutammato, antipsicotici ed antidepressivi.

Se è vero che per questa patologia l’età rappresenta il principale fattore di rischio non modificabile, la prevenzione resta l’unica strada percorribile.

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