Protesi mammarie e linfoma: dobbiamo preoccuparci?

Ida Macchi

Alert nei confronti delle protesi mammarie utilizzate a scopo estetico, o per la ricostruzione dopo una mastectomia effettuata per curare o prevenire un tumore al seno: possono dare il via ad una rara forma di tumore, il linfoma anaplastico a grandi cellule (Anaplastic Large Cell Lymphoma  o BIA-ALCL). E’ quanto ha affermato di recente il Comitato Scientifico sui Rischi per la Salute della Commissione Europea (Scheer): “ se qualche anno fa c’erano solo sospetti”, dichiarano gli esperti,  “oggi è evidente che, anche se molto limitata, esiste una correlazione tra BIA-ALCL e protesi ”.

“Probabilmente la neoplasia è innescata da una reazione del sistema immunitario che dà il via ad uno stato infiammatorio cronico e ad un aumento rapido e incontrollabile di alcuni globuli bianchi (i linfociti T): si accumulano nel tessuto cicatriziale, formando una vera e propria capsula che circonda la protesi”,  spiega il professor Giulio Basoccu, specialista in  chirurgia plastica e ricostruttiva. “La reazione può scattare in un periodo che va dai 6 mesi ad anni dall’intervento, ma non colpisce indiscriminatamente tutte le donne perché sulla genesi di questo tumore probabilmente giocano più fattori : genetici, uno stato di inflammaging, per esempio”. E’ stato calcolato che in America il rischio di sviluppare questa malattia è di circa 1 su 3.000 e di 1 su 120.000 a seconda del tipo di protesi impiantata e, per dare una misura della sua bassa incidenza, basta rapportarla al numero di donne che negli USA vengono colpite da cancro al seno: 1 su 8. Anche nel nostro Paese i numeri sono bassi. Stando ai dati del Ministero della Salute, relativi al febbraio 2022, i casi di BIA-ALCL notificati negli ultimi 10 anni sono 79 e l’incidenza è molto variabile: da un caso su 3.817 a uno su 30.000. Il tumore si è inoltre manifestato in media dopo 7,7 anni dall’impianto.

Testurizzate, lisce, saline o in silicone ?

Non tutte le protesi sono però potenzialmente a rischio: quelle sotto i riflettori dello Scheer sono le testurizzate.” Sono state utilizzate soprattutto negli anni passati e, anche se ancora in commercio, oggi vengono impiegate sempre meno”, spiega il professor Basoccu. “ Hanno una superficie ruvida che probabilmente crea un attrito sui tessuti, facilitando così le reazioni del sistema immunitario. Tutti gli altri tipi di protesi in commercio non riservano invece questi pericoli. Comunque, il rischio di linfoma BIA-ALCL , anche se minimo, oggi è riportato nel consenso informato che ogni donna firma prima dell’impianto e ogni chirurgo plasticoè in grado di fornire tutti ragguagli necessari ad una scelta consapevole e sicura”. Inutile, invece, creare allarmismo tra chi ha già impiantato una testurizzata. “Basta che effettui i controlli di follow up previsti dopo l’intervento e non è necessario che ricorra alla rimozione preventiva della protesi”, rassicura il professor Basoccu. “Peraltro, esiste un sintomo chiave in grado di smascherare un eventuale linfoma anaplastico : è il sieroma periprotesico, un rigonfiamento tastabile dalla donna stessa e evidenziabile con certezza con un’ecografia. Questo tipo di tumore è inoltre a bassa malignità e, se identificato, la cura consiste nella rimozione chirurgica della protesi e della capsula. Solo in rari casi è previsto anche un ciclo di chemioterapia o di radioterapia e la guarigione si attesta al 90%”.

Il registro degli impianti mammari 

Nonostante ciò, non bisogna ugualmente abbassare la guardia. “E’ sempre importante non perdere di vista eventuali sintomi “sospetti” e rivolgersi al proprio chirurgo plastico, o mettere in nota ulteriori controlli rispetto a quelli previsti di routine, se dopo l’impianto si notano altri cambiamenti anomali: la mammella calda, gonfia e/o ingrossata, o la formazione di liquido intorno alla protesi”, raccomanda il professor Basoccu. “Oggi, per altro, le donne che effettuano una mastoplastica o una ricostruzione dopo una mastectomia, hanno un’ulteriore garanzia: in Italia è stato istituito un Registro Nazionale degli Impianti Protesici Mammari, dove il chirurgo plastico registra la protesi utilizzata. Possibile, così, tracciare l’impianto in modo preciso e garantire ad ogni paziente un monitoraggio più attento nel tempo”.

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