Protesi peniene: il futuro in Italia non è scritto nei Lea

di Anna Benedetto

Texas, luglio 1973: sono passati esattamente 50 anni da quando il team della Divisione di Urologia del Baylor College of Medicine Texas Medical Center di Houston realizzò la prima protesi protesi peniena che sostituisce il sistema idraulico del pene danneggiato dal tumore alla prostata.

La scienza medica da allora ha fatto numerosi progressi per garantire ai pazienti protesi sempre più performanti ma il Sistema Sanitario Nazionale non tiene il passo con le esigenze di rimborsabilità di questi interventi, finalizzati al recupero della salute sessuale e del benessere psicofisico dei pazienti, quando le terapie mediche falliscono.

Protesi peniene assenti nei Lea del SSN

Al momento in Italia solo 1 paziente su 10, dopo un tumore alla prostata, accede all’impianto tramite Servizio sanitario nazionale (SSN).

Sono queste alcune criticità messe in evidenza durante il 47° congresso nazionale della Società italiana di andrologia (S.I.A.), che si è tenuto a Roma fino dal 22 al 25 giugno.

Tra gli ospiti, il Prof. Salvatore Sansalone, consulente urologo presso il Ministero della Salute ed esperto di protesi peniene che, in merito a questo dato commenta: 

«Il nostro Paese è indietro rispetto agli standard europei e purtroppo questo è un problema che persiste da tantissimi anni. Il 75% delle protesi peniene in Italia viene impiantata nel Centro-Nord e questo non solo per motivi economici ma anche per fattori culturali. Nell’area mediterranea infatti c’è ancora una certa reticenza nel farsi impiantare le protesi. A questo si aggiunge il fatto che per questa tipologia di protesi il DRG (diagnosis related groups, ovvero i raggruppamenti omogenei di diagnosi), ovvero il rimborso corrisposto dalle regioni alle aziende ospedaliere è insignificante: 2.740 euro a fronte di un costo della sola protesi di circa 8.500 euro, a cui devono aggiungersi le spese della sala operatoria e dei chirurghi».

Questa stima è confermata dai dati del Registro nazionale della Sia secondo i quali, a fronte di 3mila richieste, le protesi peniene che vengono erogate sono circa 400 l’anno, concentrate per il 75% fra Nord e Centro. Di fatto, meno di un paziente su 10 eleggibili accede all’impianto tramite la sanità pubblica e convenzionata. A tutti gli altri tocca rivolgersi a strutture private.

Questo perché l’intervento, per motivi di budget, non è ancora inserito nei Livelli essenziali di assistenza (Lea) del nostro Paese e quindi non viene garantito dalla maggior parte delle strutture pubbliche.

Contrariamente a quanto ormai consolidato per le donne, per cui è prevista la rimborsabilità delle protesi mammarie a seguito di una mastectomia, il 90% degli uomini reduci da chirurgia pelvica radicale devono dunque ricorrere al privato per ripristinare la loro salute e funzionalità sessuale.

«Ai pazienti operati di tumore alla prostata – conferma il Prof. Salvatore Sansalone viene invece fornito gratuitamente il Tadalafil, farmaco usato per la disfunzione erettile, come terapia riabilitativa.

Una tendenza – quella del SSN – non nuova in ambito urologico, che tende a preferire esborsi più piccoli ma sul lungo termine piuttosto che investire in dispositivi medici impiantati chirurgicamente, risolutivi del disconfort e della patologia del paziente. Ad esempio nel caso dell’incontinenza urinaria, è molto più frequente che il SSN si faccia carico di forniture di pannoloni a vita anziché finanziare gli impianti di sfinteri artificiali, che consentono di debellare l’incontinenza. Anche questo a discapito del benessere psico-fisico del paziente».

Ciononostante la buona notizia è che la scienza e la tecnologia medica in solo mezzo secolo hanno fatto progressi tali da consentire un approccio sicuro, mininvasivo, con rapidi tempi di recupero. Nel giro di un mese e mezzo circa si può riprendere ad avere una vita sessuale attiva con una erezione ripristinata al 100%. 

Le tipologie di protesi peniene 

Le protesi peniene possono rappresentare una soluzione non solo per i pazienti sottoposti a prostatectomia radicale a causa di tumore della prostata, ma anche nei pazienti affetti da disfunzione erettile o impotenza non responsivi ai farmaci per bocca (fumatori e soggetti diabetici con diabete mellito). In taluni casi l’intervento viene praticato anche su pazienti affetti da malattia di La Peyronie o induratio penis plastica.

Le classi di protesi attualmente in uso sono di due tipi: gonfiabile e non gonfiabile.

Nel primo caso si tratta della cosiddette protesi idrauliche tricomponente, costituite da un circuito chiuso molto sofisticato, fatto da due cilindri di silicone, inseriti  all’interno dei corpi cavernosi, che si riempiono di acqua proveniente da un serbatoio, posizionato vicino alla vescica all’interno dell’addome. Il liquido dal serbatoio passa ai cilindri della protesi attraverso una “pompetta”. Si tratta di un attivatore inserito nello scroto il cui schiacciamento fa passare l’acqua dal serbatoio ai due cilindri, che si riempiono di fluido anziché di sangue, procurando l’erezione. Una volta che il rapporto viene completato, lo stesso attivatore viene utilizzato per sgonfiare l’impianto, permettendo all’acqua di compiere il passaggio inverso dai cilindri al serbatoio. La protesi così si svuota e il pene ritorna flaccido.  

Il vantaggio di questa tipologia di protesi è la capacità di mimare uno stato di flaccidità o di erezione del pene, a fronte però di costi superiori alle soluzioni non gonfiabili.

Le protesi non-idrauliche, anche dette semirigide, sono un dispositivo formato da due cilindri di silicone rigido che vengono inseriti nei cilindri naturali del pene, chiamati corpi cavernosi. Il dispositivo conferisce una rigidità tale da consentire la penetrazione in qualsiasi momento, per cui il pene è sempre “pronto all’uso” ma ha una anima malleabile alla base, che permette all’organo di essere riposto nel cavo dell’inguine. 

I vantaggi delle protesi semirigide sono, oltre alla facile gestione da parte del paziente, una bassissima percentuale di rottura, una buona capacità penetrativa e costi relativamente contenuti.

Verso il futuro

Per il futuro si sta già lavorando ad una tipologia di protesi “touchless”, di utilizzo più agevole e con minori rischi di rotture delle componenti idrauliche. 

Ma il potenziale più interessante di queste protesi è che sono capaci di funzionare senza “pompetta”, ma mediante un neurotrasmettitore modulare che percepisce lo stimolo eccitativo da parte del sistema nervoso centrale per innescare l’erezione. 

Il prototipo è attualmente in sperimentazione presso l’ospedale universitario Eleuterio Gonzalez della Universidad Autonoma di Monterrey in Messico.

Un’altra tipologia di impianto protesico, oggi in sperimentazione presso la Urological Institute and Department of Urology della “Johns Hopkins” University School of Medicine di Baltimora, permete invece di innescare l’erezione per induzione termica, grazie alla attivazione di un elettromagnete. 

Questa protesi è costituita da un cilindro impiantabile che usa tubi in lega di nichel-titanio al posto del silicone rigido. Questa variante di protesi non gonfiabile elimina la necessità di serbatoi e pompe, rendendo il dispositivo più facile da utilizzare.

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