Quando smettere di colpo un farmaco può essere un rischio

Ida Macchi 

Alcuni farmaci, soprattutto se utilizzati per lunghi periodi, non possono mai essere sospesi da un giorno all’altro, ma vanno scalati progressivamente: assunti a dosi via via inferiori, sino alla loro sospensione totale, in modo da dar modo all’organismo di “disabituarsi” alla loro azione. Solo così non si corre il rischio di incorrere in una ‘astinenza’ forzata che, proprio perché improvvisa, può creare problemi. 

Benzodiazepine

Allarme rosso con uno stop repentino delle benzodiazepine, un nutrito gruppo di molecole con azione ansiolitica utilizzate soprattutto per mettere alle corde l’ansia. “Il rischio è concreto soprattutto se vengono assunte ad alti dosaggi (2-3 mg di Lorazepam, per esempio, o più di 1,5  mg di Alprazolam al giorno) e per almeno 6 mesi di fila, perché la loro sospensione può innescare con estrema facilità effetti ‘rebound’ tutt’altro che indifferenti: ansia alle stelle e tensione nervosa incontrollabile”, sottolinea il professor Giampaolo Perna, psichiatra, Direttore del Dipartimento di Neuroscienze Cliniche, Villa San Benedetto (Albese con Cassano-Como). “Questi farmaci si legano ai recettori cerebrali del GABA (uno dei più potenti e principali neurotrasmettitori che regolano l’eccitabilità dei neuroni) che si abituano progressivamente alla loro azione. Una volta che le benzodiazepine vengono meno, i recettori tendono perciò a ‘reclamare’ la loro dose perché ne patiscono la mancanza. Insomma, si crea una vera e propria dipendenza e la loro brusca assenza innesca una crisi d’astinenza. Il problema è più facilmente in agguato con le benzodiazepine ad emivita breve , come il Lorazepam o l’ Alprazolam: una volta sospese, la loro concentrazione crolla rapidamente nel sangue. Buona regola, perciò, scalarli progressivamente, utilizzando preferibilmente i preparati in gocce che permettono di ridurre la dose iniziale in modo graduale” in qualsiasi caso chiedere consiglio al curante.     

Antidepressivi e stabilizzatori dell’umore 

“Anche la gran parte degli antidepressivi vanno scalati gradualmente, non tanto perché la loro sospensione rischi di innescare una crisi d’astinenza, ma perché così si dà modo al cervello di disabituarsi progressivamente alla loro azione e di adattarsi in modo ottimale al progressivo count down”, aggiunge il professor Perna.  Uno studio pubblicato sulla rivista The Lancet Psychiatry ha definito addirittura qual è la strategia ideale per la gestione di quello che viene definito il ‘tapering’, ovvero il processo attraverso cui interrompere gli SSRI, la principale categoria di antidepressivi, in modo adeguato. I ricercatori suggeriscono di ridurre la dose iniziale secondo una proporzione fissa e di farlo ad intervalli settimanali prestabiliti, in modo da mantenere un effetto biologico ottimale nel tempo. “Per altro, la brusca sospensione di questi farmaci, fatta eccezione per quelli a base di vortioxetina che possono essere sospesi anche dall’oggi al domani senza problema, in alcuni casi può dare effetti collaterali indesiderati come capogiri, insonnia, nausea, scosse elettriche, tensioni e altri ancora”, aggiunge lo psichiatra. “La sospensione graduale, ma soprattutto fatta secondo i tempi prescritti dal medico e non sull’onda del ‘fai da te’, magari perché si notano i primi miglioramenti e si ha la sensazione che la depressione sia ormai alle corde, mette anche al riparo da una possibile ricaduta, che può risulta più aggressiva e resistente ai trattamenti rispetto al primo episodio. 

Gli stabilizzanti dell’umore, come i Sali di litio, la lamotrigina o il valproato di sodio, se efficaci non dovrebbero essere sospesi, si tratta infatti di terapie di mantenimento che prevengono il ritorno del disturbo dell’umore. Se sussistono motivazioni cliniche, vanno sospesi gradualmente sotto rigoroso controllo medico, soprattutto per evitare il ripresentarsi del disturbo dell’umore”.

Cortisone

Sospensione graduale se si effettuano cure prolungate (più di 10 giorni a dosi alte) con il cortisone, un potente antinfiammatorio usato soprattutto per ridurre le risposte infiammatorie dell’organismo che scattano per esempio nelle reazioni allergiche, o nelle malattie autoimmuni come l’artrite reumatoide. “Come effetto collaterale blocca la secrezione del cortisone che l’organismo produce normalmente in proprio nelle ghiandole surrenaliche. Queste, durante la terapia, si prendono perciò una ‘pausa’ rallentando o addirittura azzerando la loro attività e, se la cura viene sospesa in modo troppo brusco, non riescono a riattivarsi con prontezza e quindi a produrre nuovamente il cortisolo endogeno”, spiega il dottor Paolo PIzzinelli, cardiologo e internista a Milano. “In agguato c’è il rischio di una insufficienza surrenalica: ormai ipoattive, le ghiandole tendono a produrre una quantità insufficiente di tutti gli ormoni surrenalici, tra cui i corticosteroidi (in particolare il cortisolo) e i mineralcorticoidi , in particolare l’aldosterone, che controlla la pressione arteriosa e i livelli di cloruro di sodio di potassio nell’organismo. Il tutto si traduce in stanchezza, debolezza muscolare, pressione arteriosa bassa. Per evitare rischi, perciò, è necessario rispettare i tempi e i dosaggi del tapering.  La durata del periodo di graduale riduzione dipende dalla durata e dalla dose della terapia con il cortisone. La tempistica è perciò bene che sia stabilita dal medico”.

 

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