Sclerosi multipla: nuove speranze dalla terapia con cellule staminali

Ida Macchi

Nuove speranze di cura per la sclerosi multipla progressiva, una variante molto aggressiva di questa malattia autoimmune per la quale non esistono attualmente terapie efficaci. Il merito va a cellule staminali neuronali: sono state testate durante un trial clinico (STEMS), condotto da un team di ricercatori dell’IRCCS San Raffaele di Milano, su 12 pazienti con elevata disabilità e che non rispondevano a nessun trattamento farmacologico. I risultati dello studio, appena pubblicati sulla rivista Nature Medicine, hanno dimostrato che l’approccio è sicuro e che non provoca avventi avversi, ma nello stesso tempo  hanno rivoluzionato quel che sin ad oggi si pensava fosse il meccanismo attraverso cui agiscono le staminali: non si sostituiscono alle cellule danneggiate, dando il via a un processo rigenerativo, ma innescano reazioni a catena, utili al benessere di neuroni e assoni malati

Microambiente benefico 

“Le staminali sono state iniettate direttamente nel liquor spinale dei 12 partecipanti allo studio con una puntura lombare e da lì, attratte dallo stato infiammatorio innescato dalla malattia, hanno migrato nel cervello e nel midollo spinale, bersaglio  della sclerosi progressiva”, spiega la dottoressa Marta Altieri neurologo del Centro sclerosi multipla del Policlinico Umberto I, Università la Sapienza di Roma. “Qui hanno prodotto sostanze neuroprotettive, creando un microambiente benefico che ha permesso alle cellule danneggiate di riprendersi e ripararsi”. Le analisi del liquido cerebrospinale effettuato tre mesi dopo il trapianto, hanno infatti dimostrato  un significativo aumento di proteine che promuovono i processi che permettono al sistema nervoso centrale di riadattare la propria struttura e di generare nuovi neuroni. Nello stesso tempo, hanno indotto la produzione di sostanze immunomodulanti, riducendo l’infiammazione e l’attività del sistema immunitario che nella sclerosi multipla è il principale responsabile dei danni. “E’ proprio il nostro sistema di difesa che aggredisce la mielina, la guaina che ricopre le cellule del sistema nervoso centrale, lasciando allo scoperto le fibre nervose, tanto che gli stimoli non vengono più inviati correttamente. Risultato: disturbi che possono colpire funzioni visive, sensoriali, motorie e/o cognitive” spiega la specialista. “Non solo: nella sclerosi multipla progressiva c’è anche un’atrofizzazione lenta ma continua della materia bianca e grigia del cervello, processo che è stato invece notevolmente ridotto dall’azione delle staminali”. I primi risultati sono perciò più che promettenti e, se confermati da ulteriori ricerche, la terapia potrebbe entrare a far parte della pratica clinica. Un obiettivo non certo immediato, ma possibile in un prossimo futuro.

I limiti della terapia farmacologica

Oggi esistono già numerosi farmaci utilizzati per la sclerosi multipla: non sono però in grado di curarla, ma ne tengono a bada i sintomi, riducono il numero di ricadute e ne rallentano la progressione, tanto che sono denominatifarmaci modificanti la malattia”, o DMT, acronimo di Disease Modifying Therapy. Quelli a disposizione: “immunomodulanti come ad esempio gli Interferoni o il Glatiramer acetato, e quelli ad azione più immunosoppressiva come la Teriflunomide o il Dimetilfumarato. Rientrano in quest’ultima categoria anche quelli più innovativi come i farmaci cosiddetti sequestranti che agiscono inibendo la capacità dei linfociti di fuoriuscire dai linfonodi, determinandone una ridistribuzione che sembrerebbe ridurre la loro infiltrazione a livello del sistema nervoso centrale. Esistono poi farmaci ad azione immunosoppressiva altamente selettiva che agiscono sui linfociti già armati contro la mielina, in modo che l’organismo ne produca di nuovi, ma del tutto innocui per il sistema nervoso”, spiega la dottoressa Marta Altieri. “E poi ci sono gli anticorpi monoclonali, tra cui il più recente è l’ocrelizumab che è diretto contro la proteina CD20 che si trova sulla membrana dei linfociti B, direttamente implicati nei processi infiammatori che fanno da carburante alla malattia. L’ocrelizumab è il primo medicinale ad essere stato riconosciuto dall’FDA come “Breakthrough Therapy”, ovvero come terapia sperimentale così promettente tanto da avere il via libera nella cura delle forme progressive, ovvero quelle in cui c’è un peggioramento delle funzioni neurologiche fin dalla comparsa dei primi sintomi  e per le recidivanti  remittenti caratterizzate da episodi acuti di malattia (“poussè” o ricadute) alternati a periodi di completo o parziale benessere. Anche se la rosa dei farmaci a disposizione e’ ampia , ogni terapia va però sempre cucita su misura in rapporto alla forma con cui si manifesta la sclerosi. Importante, perciò, affidarsi ad uno dei centri d’eccellenza per la sua diagnosi e la sua cura, attivi sul nostro territorio”.  

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