SCULACCIATA: SERVE PER CRESCERE?

di Ida Macchi 

Una sculacciata non ha mai fatto male a nessuno. E poi, i figli a volte te la tirano proprio fuori dalle mani. E così, con l’alibi che sia educativo e faccia crescere bene, lo scappellotto spesso è ancora una valida “soluzione” per risolvere capricci e marachelle. A tal punto che, proprio di recente, il Segretario di Stato del Regno Unito, Nadhim Zahawi, ha difeso il diritto dei genitori di schiaffeggiare i figli quando pensano sia necessario. In Scozia, invece, è stato introdotto da tempo un divieto per legge e anche il Galles ha seguito l’esempio di Edimburgo. L’Inghilterra, invece, non intende seguire questa strada, ma Dame Rachel de Souza, l’esperta indipendente per i diritti dei bambini del governo di Londra, ha annunciato che sosterrà il divieto di ogni punizione corporale da introdurre anche in Inghilterra. Insomma, il dibattito è aperto così come l’interrogativo che sta alla base della discussione : “ma è proprio vero che la sculacciata può essere educativa?”.

Effetti solo immediati 

Assolutamente no”, risponde la dottoressa Marta Rizzi, psicologa e psicoterapeuta esperta in terapia genitoriale. Non a caso sia l’OMS che L’American Academy of Pediatrics hanno preso una netta posizione di condanna nei suoi confronti: è risolutiva nell’immediato, ma non a lungo termine. “Il bimbo, intimorito, smette effettivamente di far capricci, ma solo per paura di prenderle di nuovo. La sculacciata non è perciò il passe partout per passargli una “regola”e non ha nessun ruolo correttivo”, aggiunge la specialista. “Infatti, dopo una prima punizione, per evitarne di nuove, è possibile che il bambino assuma comportamenti compiacenti, ipocriti, o che si trinceri dietro a bugie e sotterfugi. Non solo: soprattutto se piccolo, non capisce neppure perché le prende. La pena corporale non gli serve quindi per interiorizzare cosa abbia fatto di sbagliato e questo genera frustrazione e ansia. Può inoltre lasciare dei segni, emotivi e psicologici, insospettabili. Invece che amato e protetto, il bimbo si percepisce come “sbagliato”, non all’altezza delle aspettative dei suoi genitori e questo non gioca a favore della sua autostima. Non gli permette neppure di maturare un’adeguata autonomia perché limita la propensione all’esplorazione che è naturale nei piccoli. Gli effetti possono venir fuori anche alla distanza: più facile che, da grande, il bambino sia una persona insicura, sempre in preda alla paura di sbagliare, e meno serena”.   

Marta Rizzi

Il dialogo è il punto d’incontro  

“La relazione tra genitori e figli si basa sull’autorevolezza e non sull’autorità: le sberle non servono e sono addirittura un gesto di debolezza e di chiusura, mentre il dialogo è il vero punto d’incontro tra i due”, aggiunge la dottoressa Rizzi. “Questo non vuol dire trattare il bambino come un adulto , ma come un essere vivente “in pari”. Libero, perciò, di esprimere la propria identità e la propria personalità. Al genitore spetta il ruolo di “regolatore “, coniugato però con la comprensione, la protezione e il conforto. Se usa la forza diventa una minaccia; nello stesso tempo, offre al bambino un modello sbagliato di autogestione da adottare davanti ad un’attivazione emotiva, o davanti a sensazioni interne negative. Facile, perciò, che il piccolo si convinca che vince chi si impone con la forza e che anche lui impari ad usare i ceffoni per farsi ascoltare o per gestire momenti difficili. Ma soprattutto, per rivalersi sui più deboli, ripetendo quel copione che ha vissuto sulla sua  pelle. Nel dialogo, però, dopo una sberla c’è anche l’ammissione da parte del genitore di aver sbagliato ad usare le mani, senza trincerarsi dietro la colpevolezza del bambino che “ha esagerato” e che lo ha obbligato a quel gesto. Importante far ammenda e dire al piccolo “ho sbagliato, non è colpa tua.”  

Mettersi nei suoi panni  

Ma allora che deve fare un genitore per evitare di arrivare a muovere le mani? “Prendere le distanze, non appena sente  che non riesce a controllarsi, rivolgendo però una frase di rassicurazione al bambino del tipo: “non è colpa tua, ma in questo momento ho bisogno di allontanarmi un attimo perché non sono in grado di gestire questa situazione ”, suggerisce l’esperta. “In questo modo il genitore, oltre a darsi “una pausa”, fornisce al figlio un modello positivo di gestione davanti ad un momento intenso e difficile. Importante, inoltre, che l’adulto si alleni all’empatia e al mettersi nei panni del bambino, invece di colpevolizzarlo: questo gli permette di leggere in un’altra chiave una marachella, o quello che può sembrare solo un capriccio, e di scoprire qual è il vero motivo (stanchezza, bisogni inascoltati, percezione di un’ingiustizia, espressione di un proprio punto di vista, per esempio) alla base del suo comportamento. Per questo è importante parlargli: il dialogo, cementato dalla reciprocità e dalla fiducia, è il collante  per creare una vera relazione , per entrare in sintonia  con il bambino e per educarlo emotivamente. Invece di innervosirsi e perdere la pazienza, perciò, è molto meglio chiedergli cosa gli stia succedendo, magari spiegandogli che anche a papà e mamma è capitato di vivere una situazione simile alla sua, o di sentirsi come lui.  In una parola, dirgli che lo si capisce e che quel che sta vivendo è normale. Se invece ne ha combinata una che lo ha messo “in pericolo”, o una marachella che non ha tenuto conto del rispetto verso gli altri, è importante anche spiegargli quali possono essere le conseguenze dei suoi gesti. Non nell’immediato, ma in un secondo momento, perché il bambino è troppo attivato emotivamente. Questo tipo di insegnamenti per correggere “errori” vanno impartiti anche in situazioni di massima tranquillità: se il bambino lecca un gelato avidamente, con il rischio che gli cada per terra, basta suggerirgli di farlo con maggior lentezza e a piccoli bocconi. Se invece calcia un pallone con troppa energia e lo fa finire in mezzo alla strada, spiegargli che se in quel momento passasse una macchina potrebbero essere guai” .      

 IN EUROPA

Tra i 46 Stati del Consiglio d’Europa, massima organizzazione di difesa dei diritti umani nel continente, 34 hanno proibito le punizioni corporali sui bambini. L’Italia non  rientra tra le nazioni in cui vige questo diritto, al pari di quel che succede anche in Russia, Bielorussia, Slovacchia, Repubblica Ceca, Germania, Svizzera e Turchia, nazioni dove la sculacciata è consentita in determinate situazioni. 

            

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