Test del microbiota in farmacia, sono davvero utili? Lo abbiamo chiesto all’esperta…

Ida Macchi

Abbiamo visto sugli scaffali delle farmacie nuovi test che promettono di identificare, attraverso l’analisi di un piccolo campione di feci, la sua composizione batterica e micotica e quindi di valutare lo stato di forma del microbiota, l’ecosistema che popola il nostro intestino a cui sono affidate molteplici funzioni. Ma a cosa dovrebbero servire? Sono davvero utili? Per saperlo, ne abbiamo parlato con la professoressa Maria Rescigno, vicerettore con delega di ricerca e docente di patologia generale alla Humanitas University.

Molteplici funzioni  

“L’esercito di microrganismi che colonizza il nostro intestino, se sano e ben equilibrato, è fondamentale per la salute”, conferma la nostra esperta. “Rilascia alcune sostanze (i postbiotici) che modulano il lavoro del sistema immunitario, proteggendoci da possibili malattie infiammatorie intestinali e dalla temibile ‘infiammazione cronica’ che fa invecchiare prima l’organismo. Hanno un ruolo anche nel mantenere il nostro benessere psichico perché, grazie al fatidico asse intestino-cervello, concorrono a farci produrre neurotrasmettitori del benessere come la serotonina. Un microbiota “sano” permette anche di processare i cibi della dieta senza che si inneschino reazioni allergiche o di intolleranza e può produrre antibiotici naturali che controllano la crescita sia  dei batteri patogeni ingurgitati con il cibo che di quelli “cattivi” presenti nel microbiota, come i patobionti. Controlla anche le corrette proprietà di barriera degli epiteli delle mucose, riducendo la possibilità che germi nocivi riescano ad oltrepassare le barriere fisiche dell’intestino (muco ed epitelio) e penetrino nell’organismo. Insomma, concorre a garantire una barriera altamente protettiva”.

Al momento informazioni insufficienti

“Con i test oggi a disposizione, però, non è possibile valutare se il nostro ecosistema ha una composizione ottimale e se assicura tutte queste protezioni”, spiega la professoressa Rescigno. “Identifica solo batteri e funghi presenti nel campione di feci, ma questi dati non ci offrono un quadro completo dell’ecosistema intestinale in cui convivono anche virus e parassiti. Non solo: le analisi attuali non vanno in profondità perché non riescono a dare “un nome e un cognome veramente completo” ai singoli batteri presenti nel microbiota. In pratica: ne identificano il genere (per esempio Lactobacillus), e spesso anche la specie (per esempio plantarum), ma non il ceppo. E questo fa la differenza: solo quest’ultimo elemento, infatti, ci dice la precisa azione di quel batterio perché, anche se appartamenti alla stessa famiglia, alcuni possono essere protettivi e altri no. Per esempio: l’Enterococcus hirae 13144 è correlato con una miglior risposta all’immunoterapia dei tumori, mentre l’Enterococcus hirae 17 è correlato con una risposta peggiore. Insomma, la fotografia offerta dai test attuali lascia un po’ il tempo che trova. Di fatto può identificare se c’è una disbiosi, ovvero se il microbiota non ha la stessa composizione della maggior parte delle persone sane, ma poi la medicina non ha ancora gli strumenti per modificarla e riportarla al quadro considerato ottimale. I test possono essere utili anche per confermare se nel microbiota  c’è una maggior quantità di batteri fermentativi, ma lo stesso dato viene ugualmente allo scoperto anche attraverso alcuni sintomi spia come gonfiore, flatulenza e meteorismo. Oppure, può confermare se la Candida albicans prevale, ma anche in questo caso potrebbe essere sufficiente una normale coprocoltura per avere la stessa informazione”. Il fai da te quindi non solo è costoso (può costare oltre 150 euro a kit), ma anche inutile.

Mantenere il microbiota in salute

Possibile, invece, mantenere in forma il nostro microbiota e permettergli di lavorare al top, con buone abitudini di vita. Primo step: “seguire una dieta bilanciata e soprattutto variata, come quella mediterranea, che “nutre” tutti i batteri intestinali, mantenendo quella molteplicità del microbiota che è alleata della salute”, suggerisce la professoressa Rescigno. “Meglio non esagerare con le fibre (e quindi con le verdure a foglia verde e i legumi, per esempio), se ci sono disturbi che depongono per un microbiota con una prevalenza di batteri fermentativi. No, invece, a troppi grassi di origine animale, cibi spazzatura ricchi di grassi idrogenati, ad un eccesso di zuccheri semplici (come saccarosio e fruttosio) o di alcolici: mandano in tilt l’equilibrio dell’ecosistema intestinale. Sì, invece, ad alimenti fermentati come kefir, yogurt e crauti: grazie al loro contenuto di batteri vivi e di postbiotici, favoriscono la biodiversità della flora intestinale e la mantengono attiva ed efficiente. Ok, dopo una cura antibiotica, o ripetuti attacchi di diarrea, ai probiotici: ripopolano l’ecosistema intestinale, ripristinandone l’equilibrio. Importante, però, orientarsi sui ceppi che meglio stimolano la risposta immunitaria, come il Lactobacillus rhamnosus gg, il paracasei o il plantarum. Vanno inoltre associati al consumo di fibre, offerte da frutta e verdura, soprattutto da carciofi e cicoria, vero e proprio concentrato di inulina, una fibra solubile che fa da terreno per la crescita dei batteri “buoni”. Utile, inoltre, distanziare il pasto serale dalla prima colazione di almeno 14 ore: questo digiuno concorre a regolare meglio il metabolismo energetico perché favorisce un microbiota che è quello delle persone slim e quindi in perfetto peso forma. OK all’attività fisica regolare, di tipo aerobico di bassa o media intensità, come camminare a passo sostenuto, lo yoga o correre (30 minuti almeno 3 volte la settimana): aumenta il numero di quei batteri del microbiota che producono butirrato, sostanza che mantiene in salute l’intestino e che stimola  la produzione di cellule del sistema immunitario che prevengono le allergie e gli stati infiammatori cronici. Ok, infine, anche alle tecniche di rilassamento come la meditazione: contrastano lo stress che può deprimere il sistema immunitario e di conseguenza avere un effetto negativo sulla composizione del microbiota”.

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