Trapianto di staminali: nuova frontiera di cura dell’HIV?

Ida Macchi 

Doppia guarigione, di cui una inaspettata, dopo un trapianto di cellule staminali del midollo osseo: è successo ad un paziente berlinese di 53 anni vittima di una leucemia mieloide acuta, ma anche con un’ infezione da HIV. Ha avuto, come sperato, una remissione del tumore del sangue, ma nello stesso tempo il trattamento ha indotto anche una soppressione persistente del virus che, se non trattato, può dare il via all’AIDS . Questi effetti sono durati nel tempo: per oltre 9 anni dal trapianto e per 4 anni dopo la sospensione della terapia antiretrovirale di cui oggi non ha più bisogno perché il virus è totalmente scomparso e non è più un ospite silente del suo organismo. Insomma, guarigione assoluta tanto che il suo caso, il terzo registrato nel mondo, è stato riportato proprio di recente sulla rivista Nature Medicine da un team dell’Università di Dusseldorf. Ma come funziona il trapianto di staminali e, soprattutto, può diventare una nuova speranza di cura per l’HIV?  

Trattamento salvavita ma….

Le cellule staminali emopoietiche di un donatore compatibile a volte sono l’unica opzione per curare alcuni tumori acuti del sangue, come quello da cui era afflitto il paziente berlinese”, spiega il dottor Massimo Cernuschiinfettivologo , presidente dell’Associazione Solidarietà AIDS ( (A.S.A.) e di Milano Check Point. “Sono in grado di ripopolare il midollo del ricevente, non più in grado di produrre globuli bianchi, rossi e piastrine. Prima del trattamento, infatti, vengono previsti cicli di chemioterapia ad alto dosaggio: distruggono le cellule  tumorali, ma nello stesso tempo anche le cellule sane ancora presenti nel midollo. Il trapianto provvede perciò a rimpiazzarle”. Nel caso riportato su Nature medicine, però, sono state utilizzate cellule staminali di un tipo particolare, dotate di una mutazione rara del gene CCR5  che viene utilizzato dall’HIV per penetrare nelle cellule da infettare. Ed è qui che si cela l’effetto anti AIDS: le cellule trapiantate si sono trasformano in uno scudo nei confronti dell’infezione rendendo il ricevente resistente. “Nonostante ciò, non è sicuramente un’opzione per sgominare l’infezione e non apre nuovi orizzonti per la sua cura”, sottolinea il dottor Cernuschi. “Il trapianto non è un trattamento privo di rischi  e, dopo averlo effettuato, è necessario assumere per sempre dei farmaci immunosoppressivi che riducono le reazioni del sistema immunitario. Insomma, è una terapia molto impegnativa, giustificata per le forme di leucemia come quelle del paziente berlinese, ma non certo per l’HIV”. 

Le cure odierne   

Oggi per altro non mancano le cure: “farmaci antiretrovirali, nella maggior parte dei casi somministrati con 1 o 2 pillole al giorno, oppure da poco anche con una terapia iniettabile long acting, da assumere ogni due mesi”, spiega il dottor Cernuschi. “Assunte regolarmente sono in grado di abbattere la carica virale in poche settimane in oltre il 90% delle persone. Una carica virale non rilevabile comporta inoltre la non contagiosità, eliminando così ogni rischio che chi ha l’HIV possa trasmettere sessualmente il virus”. Lo hanno messo nero su bianco, a fine 2017, anche i CDC, Centers for Disease Control negli USA e nel 2019 una Consensus Conference  del nostro Ministero della Salute con lo slogan “Undetectable = Untransmittable, ovvero U=U che sta per Non rilevabile = Non trasmissibile. “L’eradicazione del virus non è invece ancora una realtà e, a tutt’oggi, chi lo contrae deve conviverci per tutta la vita, assumendo quotidianamente e per decenni i farmaci antiretrovirali, pur se con effetti collaterali molto contenuti rispetto al passato, e con una vita, anche di relazione, identica a quella di tutti gli altri: può concepire figli e partorirli per via naturale, senza procreazione assistita e parto cesareo, con un’aspettativa di vita molto vicina e in alcuni casi equiparabile a quella della popolazione generale”.

Vaccino 

Ancora lontana, invece, la formulazione di un vaccino che possa proteggerci: le strategie sin ora utilizzate sono state basate sull’utilizzo di proteine del rivestimento esterno del virus , allo scopo di indurre anticorpi neutralizzanti capaci di bloccare l’entrata dell’HIV nelle cellule, ma non si sono dimostrati efficaci. All’ultima Conference on retrovirus and opportunistic infections, tenutosi a Seattle , però, sono stati presentati i risultati di un vaccino, attualmente alla fase di studio I, che ha dimostrato di indurre una risposta immunitaria precoce, significativa e duratura, contro l’HIV:  prevede l’iniezione di anticorpi monoclonali che mirano a un recettore, la molecola CD 40 presente sulla superficie delle cellule dendritiche, cellule del sistema immunitario che svolgono un ruolo chiave nell’educazione e nell’attivazione del nostro sistema di difesa. I primi risultati dimostrano che il vaccino induce alti livelli di anticorpi  e che questi rimangono abbastanza stabili. Insomma, risultati promettenti, che andranno però dimostrati  e confermati ulteriormente negli studi di fase II. 

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