Tumore del colon-retto: in aumento, anche tra i giovani

Ida Macchi   

E’ uno dei tumori più diffusi al mondo e negli ultimi anni  la sua frequenza è in aumento anche nella forma ad esordio precoce (CRC) che colpisce gli under 50. Dal 1988, la sua incidenza è passata da 7,9 a 12,9 casi nel 2015, ogni 100.000 persone: lo dimostra un recente articolo di revisione pubblicato online sul New England Journal of Medicine. Non solo: ulteriori studi prospettici affermano che la sua incidenza raddoppierà entro il 2030. I motivi dell’aumento non sono ancora ben chiari, ma i numeri che dimostrano che questa neoplasia è in crescita si registrano anche in Italia: nel 2022 sono state stimate 48.100 nuove diagnosi, mentre nel 2020 erano poco più 43.700. Insomma, 4400 in più in soli due anni. Le colpe di questa impennata? “I ritardi accumulati durante l’emergenza sanitaria a causa della pandemia che hanno mandato in tilt le normali scadenze dei programmi di screening per la sua prevenzione”, spiega il professor Ermanno Leo, già direttore della Struttura Complessa di Chirurgia Colon-rettale dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano.  “Un insuccesso totale anche perché, prima del Covid, l’aderenza agli esami di prevenzione avevano addirittura abbassato la mortalità per questo tipo di tumore”.

Non solo ritardi diagnostici 

Sul banco degli imputati per l’aumento di casi di tumore del colon retto, però, sembra esserci anche il maggior consumo di cibi ultra processati. E’ quanto emerge da uno studio della Friedman School of Nutrition Science and Policy alla Tufts University di Boston. Snack dolci o salati, cioccolato, dolciumi, gelati confezionati, piatti pronti, biscotti, cereali da colazione, barrette energetiche & co, spiegano i ricercatori,  sono  ricchi di zuccheri aggiunti, di grassi e di sale, mentre sono poveri di fibre: il loro consumo concorre  all’aumento di peso e all’obesità, uno dei fattori di rischio accertati per il cancro colorettale. “Anche se su questo tumore pesano parecchi fattori, compresi quelli genetici, i chili di troppo sono effettivamente parte in causa”, conferma il professor Leo. “Chi è in sovrappeso ha un rischio aumentato del 15% di ammalarsi, eventualità che si alza al 32% nelle persone obese con un indice di massa corporea superiore a 30”. Mantenersi in peso forma è quindi un importante step della prevenzione e la giusta alimentazione è in prima linea. 

Al contrattacco  

I segreti da mettere in campo?” Limitare il consumo di carni rosse, cibi da fast food , insaccati, bevande zuccherate e alcolici e arricchire la propria dieta di alimenti ricchi di fibre: aiutano a mantenere un peso forma, ma nello stesso tempo contrastano il proliferare di batteri nocivi, riducono le infiammazioni e concorrono a mantenere ben equilibrato il microbiota intestinale, prima barriera protettiva delle vie digestive”, suggerisce il professor Leo. Ok, perciò a frutta e verdura fresche, soprattutto quelle che sono più ricche di fibre come kiwi, mele, pere, legumi, carciofi, finocchi e cicoria. Sì anche a cereali integrali come pasta, riso, farro o orzo, e a cibi poco processati come latte, uova, pesce e pollame. Un occhio di riguardo anche per lo yogurt bianco: una recente revisione generale degli studi scientifici in materia, pubblicata su Nutrients , ha evidenziato che il loro consumo riduce il rischio di tumore del colon-retto nei maschi, probabilmente perché incrementa la flora batterica intestinale protettiva.  “Per evitare i chili di troppo e ridurre i rischi di ammalarsi è importante anche l’attività fisica che, oltre ad essere una misura antiobesità, accelera il transito intestinale, evitando che sostanze di scarto o composti tossici provenienti da quel che mangiamo rimangano troppo a lungo a contatto con le mucose intestinali, danneggiandole. E poi, il movimento stimola e mantiene attivo il nostro sistema immunitario, prima sentinella nei confronti di mutazioni a rischio. Le dosi ideali : 20-30 minuti di camminata a passo sostenuto al giorno”.  

Si allo screening 

Un caposaldo della prevenzione è l’adesione alle campagne di screening che, stando alle recenti raccomandazioni dell’American Cancer Society e della US Preventive Services Task Force, dovrebbe essere avviata a partire dai 45 anni, età in cui mettere in nota il primo Sof test di screening, ovvero la ricerca del sangue occulto nelle feci. La presenza di sangue non visibile ad occhio nudo nelle feci, infatti, può essere la prima spia della presenza di polipi che con il tempo possono degenerare. Di fatto, al momento in Italia il test viene offerto gratuitamente dal SSN ogni 2 anni ai 50-69 enni che ricevono dalla propria Asl una lettera di invito ad effettuarlo. Gran parte di loro, però, lo defezionano: accetta l’invito solo il 45% dei cittadini al Nord, il 31% al Centro e il 10% al Sud. Un errore: “il tumore ha quasi sempre origine da polipi adenomatosi, tumori benigni dovuti al proliferare delle cellule della mucosa del colon che impiegano 7/15 anni per degenerare in formazioni maligne”, spiega il professor Leo. “In questo arco temporale, il soft test è proprio la sentinella che permette la diagnosi precoce: se è positivo, viene prescritta una colonscopia che, attraverso una sonda endoscopica flessibile, permette di evidenziare e asportare un’eventuale lesione precancerosa, da sottoporre poi ad esame istologico per evidenziarne la natura. Così è possibile identificare i segni precursori di una neoplasia, o il tumore stesso ad uno stadio iniziale, e questo significa ottenere i risultati migliori in termine di guarigione, soprattutto se ci si affida alle mani di chirurgi oncologi esperti. Per altro, una colonscopia preventiva andrebbe messa in nota da tutti a 50 anni, mentre andrebbe anticipata a 40- 45 anni se genitori o nonni della propria famiglia d’origine hanno sofferto di polipi: su questo tipo di tumore pesa la familiarità”. 

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