
TUTTI I ‘PEZZI’ CHE SI POSSONO DONARE IN VITA
di Ida Macchi
Ridare la vita a un malato che altrimenti non avrebbe più nessuna speranza: è lo spirito che anima le donazioni d’organo, un gesto di altruismo e solidarietà che oggi si può decidere di compiere quando si è ancora in vita. Nel nostro Paese , le donazioni da vivente ammesse per legge, ma anche le più richieste, sono quelle di un rene e di una porzione di fegato, che ogni anno permettono ben 300 interventi salvavita.
Liste d’attesa più brevi
“Donare da vivi significa accorciare le liste d’attesa, una vittoria contro il tempo che evita che l’organo arrivi quando ormai è troppo tardi, o quando le condizioni di chi ne ha bisogno siano talmente gravi da rendere l’intervento ad alto rischio, se non addirittura impossibile ”, sottolinea il professor Renato Romagnoli, direttore del Centro trapianti di fegato dell’ospedale Molinette di Torino e professore di chirurgia all’Università di Torino . ”Il trapianto di fegato, per esempio, è l’unica possibilità di successo per certe anomalie congenite del fegato dei bambini, o per malattie epatiche mortali, compreso l’epatocarcinoma per il quale si è dimostrato una cura vincente: ad un anno dall’intervento, garantisce la sopravvivenza al 90 – 97% dei pazienti. Un successo che viene “ripagato” indirettamente anche dalle naturali capacità rigenerative del fegato, soprattutto se il ricevente è un bambino: il donatore adulto cede circa 30% del suo fegato, con rischi chirurgici molto bassi, simili a quelli di un normale intervento, una mortalità pari allo 0,03% e un buon recupero. Dopo 1 anno dall’intervento il fegato del donatore e quello del bambino che lo ha ricevuto ritornano al 90% del loro volume ideale e quindi in grado di garantire una normale funzionalità epatica”.
Un rene salvavita
Liste più brevi anche con il regalo di un rene che permette a chi ha un’insufficienza renale cronica di uscire dal tunnel della dialisi, ultima spiaggia perché l’organismo non è più in grado di eliminare le sostanze nocive e l’acqua in eccesso. “Con la donazione da vivente il ricevente ottiene un buon rene da una persona sana, l’intervento viene programmato e le complicanze sono ridotte al minimo (quella più frequente è il dolore, ben controllabile con i farmaci antidolorifici) anche perché oggi si utilizza sempre di più la tecnica laparoscopica , meno invasiva e praticata con tre piccole incisioni sull’addome”, spiega il professor Giuseppe Remuzzi, per anni a capo del Dipartimento di Immunologia e Clinica dei Trapianti di Organo dell’Ospedali Riuniti di Bergamo. E i risultati non mancano: circa il 99% dei reni da un donatore vivente funziona adeguatamente ad un anno dal trapianto; a 10 anni la percentuale di sopravvivenza del rene trapiantato è ancora elevata (circa il 92%) e permette una vita normale a chi lo ha ricevuto. Non solo : con un solo rene non esiste affatto un maggior rischio di contrarre malattie renali e l’aspettativa di vita è normale o addirittura più lunga rispetto alla media delle persone. Vita normale, sia di relazione che lavorativa, anche per il donatore: “avere due reni significa che madre natura ha previsto una capacità di riserva , tanto che quando ne viene rimosso uno subentra quello rimanente che sin da subito raggiunge una capacità funzionale del 75%”, aggiunge il professor Remuzzi . “ Ricerche recenti mostrano inoltre che questa capacità continua ad aumentare nel corso di parecchi anni, tanto che non fa meraviglia la notizia, pubblicata di recente sul quotidiano americano Washington Post, di 22 donatori di rene che hanno raggiunto senza difficoltà la vetta del Kilimanjaro : ben 5895 m di altitudine”.
Il buon samaritano e la catena virtuosa del cross over
Da qualche anno, alla donazione tra consanguinei o persone legate da legami affettivi (una mamma che cede un rene al proprio figlio, una moglie che lo regala al partner ) si è affiancata quella samaritana, procedura rigidamente regolamentata, che permette di offrire in modo libero, consapevole e gratuito un proprio rene, da vivo, per offrirlo alla collettività . “Questo gesto, innesca la catena virtuosa del protocollo cross over “, spiega il professor Remuzzi. “Un donatore samaritano offre il proprio rene al ricevente di una coppia idonea alla donazione da vivente, ma biologicamente incompatibile con il proprio donatore. Il donatore di questa coppia, a sua volta, dona al ricevente-compatibile di una seconda coppia, e così via, finché ogni donatore delle coppie coinvolte ha donato. Risultato: si attiva una catena a cascata di donazioni “incrociate”, in cui in media sono coinvolte da 3 a 5 coppie e, grazie al gesto di 8 donatori samaritani, sin ad ora nel nostro Paese è stato possibile eseguire 26 trapianti di rene da donatore vivente. Un obiettivo non da poco perché, ancor oggi, solo 1 su 5 dei malati che potrebbero tornare ad una vita normale con il trapianto di rene di fatto ci arriva”.
Pancreas polmone e intestino
Dal 2012, in Italia è possibile anche la donazione da vivente di pancreas, polmone e intestino, ma al momento nel nostro Paese non sono mai stati effettuati trapianti di questo tipo. Come mai ?“ Perché, a differenza di quel che succede nei trapianti tradizionali, in quelli da vivente è possibile donare solo una porzione di questi organi e questo richiede tecniche chirurgiche molto complesse e rischi post operatori maggiori , sia per il donatore che per il ricevente”, spiega il professor Romagnoli. “ Non solo, le donazioni post mortem sono sufficienti a soddisfare le richieste: quelle di un lobo polmonare di un adulto (e quindi di un’area ridotta) a favore di un bambino, per esempio, sono pari a zero perché gli interventi di questo tipo che si effettuano ogni anno in Italia si contano sulle dita di una mano e i donatori pediatrici riescono a far fronte alle liste d’ attesa”.
Trapianto midollo : record nel 2021
Possibile, solo in vita, donare anche le cellule staminali emopoietiche del midollo, cellule pluripotenti in grado di replicarsi in piastrine, globuli rossi e globuli bianchi nell’organismo di chi le riceve. “Vengono raccolte (in anestesia epidurale e senza danni) dal sangue del midollo delle ossa del bacino (creste iliache) del donatore, o dal suo sangue periferico, e rappresentano la salvezza per chi soffre di gravi malattie maligne come leucemie, mielomi o linfomi”, spiega il professor Romagnoli. “Perché si possa procedere con il trapianto è però fondamentale che ci sia una compatibilità tra donatore e ricevente, compatibilità che si verifica solo una volta su quattro in ambito familiare (fratelli/sorelle) e una su centomila tra non consanguinei”, sottolinea il professor Remuzzi. Per questo sono nati in tutto il mondo dei Registri Nazionali, veri e propri archivi collegati tra loro nei quali figurano le caratteristiche generali dei potenziali donatori. Gli effetti di questa rete non sono indifferenti perché, nonostante l’emergenza Covid, nel 2021 si è registrato il più alto numero di trapianti di questo tipo da donatore non consanguineo mai realizzato nel nostro Paese: oltre 930 pazienti (+6,4%) e di donazioni effettuate, 300 (+4%). Chiunque lo desideri può diventare donatore: per rendere effettiva questa scelta si può rivolgere all’Associazione Donatori Midollo osseo ( Admo), alla Federazione italiana associazioni donatori di cellule staminali emapoietiche ( Adoces), o effettuare una preiscrizione on line sul sito del Registro Italiano donatori di midollo osseo ( IBMDR https.//donatori.galliera.it/preiscrizione/). I requisiti necessari: avere un età compresa tra i 18 e i 35 anni , pesare almeno 50 chili e essere in buona salute.
Il regalo delle neomamme
In Italia sono consentite anche donazioni pubbliche del sangue del cordone ombelicale, da cui isolare le cellule staminali a scopo solidaristico, ovvero a disposizione della collettività, soprattutto per la cura di gravi malattie del sangue, oppure ad uso “dedicato”. “ In quest’ultimo caso è a disposizione del neonato o per un familiare, in genere un fratello o una sorella del nascituro, che abbia una patologia per la quale risulti significativamente fondato e clinicamente appropriato l’utilizzo di cellule staminali del cordone ombelicale, o in caso di famiglie ad elevato rischio di avere figli affetti da particolari malattie genetiche come la talassemia”, spiega il professor Remuzzi. “Il prelievo è assolutamente privo di rischi per la neomamma e il bambino: il sangue contenente le staminali viene raccolto attraverso una piccola puntura del cordone ombelicale, in sala parto, a taglio avvenuto”, aggiunge il professor Romagnoli. “Poi , il campione viene inviato ad una delle 18 banche pubbliche italiane, coordinate dal Centro Nazionale Sangue in cooperazione con il Centro Nazionale Trapianti: per essere valutato e, se idoneo, essere congelato. Per fare la donazione basta farne esplicita richiesta, prima del parto, rivolgendosi a un ospedale accreditato per la raccolta”.
IN NUMERI: LISTE E TEMPI D’ATTESA
In Italia, stando agli ultimi dati del centro nazionale trapianti , relativi al 2021, i pazienti iscritti nelle liste d’attesa sono 8291. Il 72,5% (6.132) aspetta un rene, il 12,7% (1.076) un fegato, il 7,9% (670) un nuovo cuore. Inferiori i numeri di chi ha bisogno di un trapianto di polmone (3,8%, 320 pazienti) e pancreas (3%, 252 pazienti), mentre sono in 5 ad aspettare un intestino. I tempi d’attesa però sono spesso lunghi. Quelli relativi al 2020: meno di 5 mesi per un fegato, 11 mesi per il pancreas, 1 anno e 1 mese per cuore e polmoni, 2 anni e 1 mese per un rene. Tempi medi di permanenza in lista più lunghi (3 anni e 4 mesi per il rene), per i pazienti di difficile trapiantabilità.